Stati generali della natalità, il capitalismo di fronte alle “culle vuote”

di Giovanna Russo

Il recente decreto legge sul lavoro, con le sue misure di ampliamento delle forme di precarietà, il ridimensionamento del reddito di cittadinanza, colpiscono in particolare le donne, che più spesso degli uomini si trovano in condizioni di disoccupazione e di lavoro povero. Ma oltre l’aumento delle difficoltà materiali di vita, c’è una pressione ideologica reazionaria specifica, centrata sul tentativo di rilanciarne il ruolo di asse portante del lavoro di riproduzione sociale all’interno di una famiglia dalla forma patriarcale tradizionale. 

La triade “dio-patria-famiglia”, che è stata al centro della campagna elettorale di FdI, è ora terreno della politica governativa di riordino sociale in cui le donne sono viste come fattrici per la riproduzione biologica, segregate nella subalternità dei ruoli familiari, in un quadro di ri-disciplinamento dell’intera società.  

La terza edizione degli “Stati generali della natività”, nella due-giorni romana (11-12 maggio), è stata la rappresentazione eloquente di questo orientamento politico-ideologico e delle sue finalità. La nutrita presenza di ministri,  rappresentanti istituzionali ed esponenti di grandi aziende economiche, oltre quella immancabile del Papa, ha mostrato l’importanza della questione demografica per l’insieme della classe dominante: nell’attuale trend demografico che ha condotto la natalità ai minimi storici, con poco più di 300.000 nascite annuali, il capitalismo ha l’interesse generale di assicurarsi la sostituzione generazionale della forza lavoro e la “carne da cannone” per le prospettive militari internazionali,  ma trova spazio anche la preoccupazione  contingente delle aziende del settore materno-infantile di fermare il restringimento del mercato dei prodotti per l’infanzia.  

Nella brochure intitolata Avete mai immaginato un mondo senza bambini? sono evocati scenari apocalittici di una “Italia spopolata da qui alla fine del secolo”. Blanciardo, presidente dell’Istat, già noto per la sua proposta di includere i feti abortiti nel calcolo delle aspettative di vita, ha accreditato la tesi della necessità di almeno 500.000 nuovi nati all’anno; vi hanno fatto eco una sequela di affermazioni clerico-razziste sulla necessità di una filiazione italiana – beninteso da coppie eterosessuali – per scongiurare il pericolo di “sostituzione etnica” da parte degli immigrati “che ci invadono”. Il ministro Lollobrigida si è lanciato nella difesa dell’etnia italiana e dell’identità della “nazione” da difendere con ogni mezzo.

Queste squallide dichiarazioni si potrebbero liquidare come grottesche, se non fossero condivise da esponenti della classe dirigente di numerosi paesi dell’occidente industrializzato, sostenute dal fondamentalismo religioso e da centinaia di associazioni antiabortiste, se non si collegassero alle tesi di raggruppamenti neo-nazisti che coltivano teorie sulla purezza della razza di hitleriana memoria.

Il governo riafferma la concezione della famiglia gerarchica, patriarcale e bianco-arianamalgrado l’esistenza attuale di una molteplicità di forme di famiglia e di convivenza – arrivando a non riconoscere i diritti dei figli di coppie omogenitoriali, impedendone la registrazione anagrafica, come un tempo si discriminavano i figli nati fuori dal matrimonio. 

Durante la convention sulla natalità, gli oppositori di centro-sinistra (Schlein, Conte, Carfagna, Bonetti) non hanno saputo che esporre le difficoltà economiche delle donne e le carenze dei servizi sociali di sostegno (di cui sono responsabili i governi di tutti i colori) a giustificazione del calo delle nascite. 

Meloni ha risposto prospettando interventi vari, già promessi senza esito diverse volte, ma soprattutto incentivi alle aziende che assumono donne o le riassumono dopo la maternità. Perché le donne “devono poter lavorare”:  in realtà,  per dirla tutta, mancando il sistema economico di una sufficiente offerta di forza- lavoro, le donne devono continuare a rimbalzare dallo sfruttamento nella sfera del mercato formale a quello nella sfera familiare, in più portando “figli alla patria”. 

Nessun accenno ai fattori di infertilità dovuti all’inquinamento ambientale, alla mancanza di fiducia nel futuro o allo stress del doppio lavoro, aumentati enormemente tra le coppie sterili che vorrebbero un figlio; nessun rammarico per gli “aborti bianchi” dovuti alle pesanti condizioni di lavoro nelle fabbriche.

Noi pensiamo che la crisi demografica che investe i paesi dell’occidente industrializzato – in cui l’Italia si colloca ai primi posti –  sia una crisi di capacità del sistema capitalistico di riprodurre la specie umana, nella sua fase decadente distruttiva. Questo problema rimane irrisolto all’interno delle istituzioni sociali storicamente determinate che privatizzano e scaricano la responsabilità genitoriale sulle sole donne, rinchiudendole nella subordinazione di genere. 

La diminuzione delle nascite è la risposta legata soprattutto ai cambiamenti di immagine che le donne hanno di sé, ai programmi di vita che vanno oltre lo scopo tradizionale della procreazione, al diritto di scelta che si sono conquistate, compreso quello di accedere alla maternità in una età non precoce come un tempo. Su questo i bonus economici possono poco, come dimostra l’esperienza degli stati dove le politiche familiari sono più sviluppate.

La visione del mondo sessista e nazionalista delle destre, per altro tacitamente connivente con gli spazi di profitto aperti da una vasta casistica di forme del mercato riproduttivo, viene portata in tutti gli ambiti possibili, nel tentativo di influenzare il senso comune e il mercato del consenso.  

Quando incontra il dissenso pubblico, la vocazione autoritaria è pronta ad impedirne l’espressione. E’ accaduto recentemente al Salone Internazionale del Libro di Torino, quando la presentazione di un libro di Eugenia Roccella, ministra della famiglia, della natalità e delle pari opportunità, è stata contestata dai collettivi di Extinction Rebellion e di Non una di meno di Torino. L’episodio si è concluso con la denuncia di 29 attiviste, che dovranno rispondere del reato di violenza privata. 

Ad esse va la nostra completa ed attiva solidarietà. E’ evidente l’intento intimidatorio di dissuadere le contestazioni simili, di stroncare sul nascere ogni opposizione accampando il pretesto della libertà di parola, pur non mancando certo né la ministra Roccella né gli altri politicanti di strumenti per far sentire la propria voce e imporre il peso della maggioranza.

Meloni ha definito l’episodio “inaccettabile e fuori da ogni logica democratica”. Ma non è certo accettabile né democratico disapplicare la legge 194 con l’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici, tagliare le spese ai consultori e alle strutture della salute riproduttiva, usare mezzi di umiliazione e di ricatto come il seppellimento dei feti per colpevolizzare le donne che ricorrono all’aborto, distribuire finanziamenti ai movimenti pro-life che proprio in Piemonte hanno raggiunto la cifra record di 400 milioni.