Lumumba, Patrice Emery, l’eroe congolese delle indipendenze africane

di Omer Freixa, storico, da brecha.com.uy

Patrice Lumumba, giornalista e impiegato postale del Congo belga divenuto primo ministro, fa parte del pantheon di figure che hanno segnato il processo di emancipazione africana, soprattutto negli anni Sessanta, decennio prolifico di indipendenze nel continente. A lui si affiancano altri eroi nazionali come Amilcar Cabral della Guinea Bissau e di Capo Verde, Jomo Kenyatta del Kenya, Julius Nyerere della Tanzania e il celeberrimo Nelson Mandela.

Come molte delle figure dell’epoca, Lumumba fu neutralizzato da una miriade di interessi che cercavano di perpetuare un modello di sfruttamento del continente, prolungando le privazioni del colonialismo, ma in una veste diversa: un complotto neocoloniale sabotò il suo breve governo e portò la sua vita a una fine lenta e straziante il 17 gennaio 1961. La colpa ricade su diversi attori e, a tutt’oggi, non c’è stata giustizia.

Le responsabilità

Lumumba iniziò a criticare l’azione del colonialismo belga in un momento in cui il progetto europeo cominciava a essere messo in discussione in Africa in generale, e nel 1958 fondò il suo partito politico. il Movimento Nazionale Congolese (MNC). Solo nel 1960, 17 nazioni africane divennero indipendenti, tra cui la Repubblica del Congo, o Congo-Leopoldville, per differenziarla dall’ex colonia francese Congo (Brazzaville).

L’attività militante di Lumumba lo rese estremamente vigile sull’azione dell’autorità coloniale. Fondò associazioni che guidò e che lo resero sospetto. Ma la paranoia dei suoi nemici non tardò a crescere, mentre il Congo belga cominciava a diventare un terreno di gioco della Guerra Fredda. Con l’avanzare del processo di liberazione della colonia belga, il congolese fu sospettato di simpatie comuniste e di alleanza con l’Unione Sovietica, accuse che egli respinse sempre.

Nato nel 1925, Lumumba guidò la formazione del primo governo congolese e, nel suo famoso discorso di indipendenza del 30 giugno 1960, davanti a un pubblico che comprendeva lo stesso monarca belga Baldovino, denunciò gli abusi coloniali, seminando indignazione e odio nelle file nemiche. Il primo ministro aveva anche degli oppositori interni. Infatti, la prima formazione del gabinetto includeva il moderato Joseph Kasavubu come presidente, con il quale si crearono rapidamente dei cortocircuiti. Kasavubu era più sottomesso allo straniero e difendeva anche gli interessi etnici della sua base politica. Lumumba, che sosteneva l’unità territoriale senza divisioni etniche, diffidava del Belgio, che riteneva avrebbe sabotato i suoi piani di sovranità. E così è stato.

Il grande attore esterno, oltre all’ex metropoli, erano gli Stati Uniti. Washington, alleata di Bruxelles, cominciò a guardare con allarme alle mosse di Lumumba, a causa dei precedenti sospetti di alleanza con il blocco comunista. Questo timore si concretizzò quando, a pochi giorni dall’inizio del governo sovrano, l’amministrazione dovette affrontare la secessione di una ricca regione mineraria, il Katanga, il 10 luglio. Il primo ministro e il presidente dovettero chiedere aiuto alle Nazioni Unite, ma anche, al di fuori dell’intervento internazionale ufficiale, Lumumba chiese l’assistenza sovietica. Il processo andò male, ostacolato da eventi interni e, in parte, dalla compiacenza esterna: la secessione nel Katanga era sostenuta dal Belgio, che inviò una cooperazione militare.

La lotta del primo ministro era contro l’imperialismo e contro il suo intervento. Lumumba fu accusato di essere un agente sovietico. Nel contesto della rivalità della Guerra Fredda, l’obiettivo era quello di assicurarsi un territorio strategico e ricco di risorse senza alcuna minaccia rossa, per cui qualsiasi infiltrazione comunista creava allarme. Pertanto, il piano migliore per i nemici del leader nazionalista era quello di eliminarlo. L’operazione ebbe un fattore scatenante: il licenziamento e il successivo arresto di Lumumba a metà settembre 1960. Kasavubu diede l’ordine di arresto a un ufficiale militare che fino a quel momento era stato il miglior collaboratore del leader spodestato, Joseph-Désiré Mobutu, allora principale capo militare. Dopodiché, non restava che sbarazzarsi dell’ex primo ministro.

Lumumba fu messo agli arresti domiciliari all’inizio di ottobre, ma riuscì a fuggire. Il timore dei suoi oppositori era che potesse riunire le forze per rovesciare il governo neocolonialista, servo del Belgio e degli Stati Uniti. Durante la fuga per incontrare i suoi sostenitori, fu arrestato. Lì il suo destino fu segnato. Fu dapprima riportato nel luogo originario dell’arresto, Leopoldville, e poi trasferito nel Katanga, un luogo dove, anche in caso di sedizione, il prigioniero era particolarmente odiato. Ricevuto nella provincia, che è molto frammentata, è stato torturato e picchiato da ufficiali congolesi e belgi.

Non fu il solo a subire questa prova: anche due collaboratori ed ex ministri del suo governo subirono il tragico destino di Lumumba. I tre prigionieri furono fucilati il 17 gennaio 1961. La loro esecuzione fu cinicamente negata. Giorni dopo si disse che erano fuggiti e che, catturati, erano stati linciati da una folla in un villaggio.

La leggenda

Lumumba fu ucciso perché iniziava a trascendere la scena locale e si temeva un contraccolpo all’interno dei suoi ranghi. In effetti, la notizia della sua morte scatenò proteste in varie città del mondo e l’eredità di Lumumba continuò a essere attiva attraverso una serie di sacche armate che lottavano per rovesciare l’ordine costituito protetto da poteri esterni.

Il leader congolese divenne una figura popolare tra le masse e, nonostante una breve parentesi nel governo congolese, raccolse simpatia e affetto. Paradossalmente, Lumumba fu dichiarato eroe nazionale da chi lo aveva tradito, proprio da Mobutu nel 1966, che prese il potere nel novembre 1965 e governò fino al 1997 in modo corrotto e dispotico, come baluardo di stabilità e contro la minaccia a est della cortina di ferro. L’ex fidato collaboratore di Lumumba era stato uno dei promotori della sua destituzione.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’allora presidente Dwight Eisenhower diede l’ordine di ucciderlo nell’agosto 1960. La CIA collaborò sia al suo rovesciamento in settembre sia alla pianificazione del suo assassinio in Katanga mesi dopo. La ferocia contro questo eroe fu tale che il suo cadavere, come quello dei suoi due compagni, fu immerso nell’acido solforico per non lasciare alcuna traccia del crimine. L’anno scorso è stato recuperato solo un dente.

Lumumba ci ricorda che un mondo più giusto è possibile. Il martire dell’indipendenza di un paese definito “scandalo geologico” non cercava solo l’emancipazione locale, ma il suo progetto comprendeva l’indipendenza totale dell’Africa, come disse nel suo famoso discorso nel giorno dell’indipendenza. Era un panafricanista che lottava contro la penetrazione imperialista in tutte le sue forme e contro il suo proseguimento nonostante la liberazione, solo politica, del neocolonialismo. Quando l’imperialismo brama ciò che cerca, non perdona.

Nel 2002 il Belgio ha ammesso la responsabilità del suo assassinio e non molto altro. Lumumba ha risvegliato un’ideologia di liberazione che è ancora viva oggi, quella di porre fine alle reminiscenze del colonialismo, quella di far sì che i popoli africani possano assumersi la responsabilità del proprio destino senza dover rendere conto a nessuno. È vero il detto dell’intellettuale terzomondista nativo della Martinica Frantz Fanon secondo cui l’Africa ha la forma di un revolver e il Congo è il suo grilletto. La violenza si è scatenata contro un uomo che sognava una patria dignitosa e un continente sovrano unito contro lo sfruttamento, quello sfruttamento che continua ancora oggi.