Ecosocialismo, una strategia anticapitalista

Oggi la parola ecosocialismo è abbastanza inflazionata, usata dalla autodefinitasi “sinistra” semplicemente per accostare difesa dell’ambiente e diritti sociali e darsi un aspetto più presentabile e attuale. Viceversa è un compito fondamentale della fase definire cosa intendere e come tradurre in pratica politica l’ecosocialismo.

Oggi la parola ecosocialismo è abbastanza inflazionata, usata dalla autodefinitasi “sinistra” semplicemente per accostare difesa dell’ambiente e diritti sociali e darsi un aspetto più presentabile e attuale. Viceversa è un compito fondamentale della fase definire cosa intendere e come tradurre in pratica politica l’ecosocialismo. 

La parola “ecosocialismo” fu introdotta per la prima volta nel 1975 da Joel de Rosnay che ne dette la seguente definizione: “convergenza delle politiche economiche e sociali verso la protezione dell’ambiente“, si sosteneva, cioè, che la protezione dell’ambiente dovesse divenire un’azione collettiva e coordinata; questo perché precedentemente il rapporto individuo ambiente veniva visto dalle teorie più avanzate come il naturismo e dall’ecosofia, come rapporto interiore ed individuale. 

Successivamente, l’opera dei grandi teorici quali Grosz, O’Connor, Bahro diede all’ecosocialismo una veste politica compiuta ed è prevalsa l’idea che per ecosocialismo dovesse intendersi l’affrontare le questioni ambientali in un’ottica socialista, usando cioè gli strumenti teorici del marxismo e le pratiche del movimento di classe. 

Questa definizione, però, non è più attuale perché i 50 anni trascorsi valgono una intera era geologica. Oggi per ecosocialismo deve, invece, intendersi la strategia del superamento del capitalismo. “Le crisi del nostro tempo possono e devono essere intese come opportunità rivoluzionarie che dobbiamo coltivare veniva detto nel Manifesto dell’ecosocialismo di Kovel e Lowy.

Negli ultimi decenni la scienza ha descritto quello che sta succedendo in termini globali a causa dell’aumento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, dallo scioglimento delle calotte polari, alla desertificazione di aree agricole importanti, all’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi metereologici catastrofici, all’innalzamento del livello del mare, alle modifiche della circolazione termoalinica degli oceani, alle ondate di calore anomale, alla scomparsa di un numero elevatissimo di specie biologiche che ha fatto introdurre il termine di sesta estinzione di massa. Nel contempo, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra  ha invaso ogni angolo del pianeta.

L’allarme dato dalla comunità scientifica per far ridurre il consumi dei carburanti fossili è rimasto inascoltato dalle istituzioni politiche nazionali ed internazionali che non hanno voluto né potuto mettere un freno agli interessi della crescita produttiva del sistema mondo. Il movimento ecologista da Seattle in poi ha incontrato quello anticapitalista nei forum sociali mondiali ed in grandi mobilitazioni transnazionali. D’altro canto, nell’Occidente più avanzato, la critica al produttivismo, alla rincorsa del PIL, la critica a stili di vita incompatibili con l’ambiente ha portato alla formulazione di progetti decrescisti, necessariamente anticapitalisti.

Oggi, dopo i risultati nulli delle COP, dopo il fallimento dei programmi di greenwashing, l’ecosocialismo diventa l’unica soluzione per un futuro vivibile. Il fallimento del capitalismo, responsabile dei quotidiani disastri ecologici è sotto gli occhi di tutti, e la prospettiva di cambiamento globale del sistema mondo non è più frutto di approfondite analisi sociologiche di studiosi, ma è diventato buon senso della gente comune. L’anticapitalismo potrebbe, anzi dovrebbe, diventare il tema organizzativo centrale di un nuovo buonsenso, scrive Nancy Fraser.

Mentre nel secolo scorso il socialismo era visto come una prospettiva di riscatto delle classi oppresse, oggi il socialismo diventa l’unica alternativa di sopravvivenza della società umana.

Mentre fino a prima di Parigi 2015, l’ecosocialismo poteva intendersi come coniugare diritti sociali, lavoro ed ambiente, affrontare i problemi ambientali in un’ottica di sinistra, oggi per ecosocialismo deve intendersi trovare una strategia di rivoluzione anticapitalista e progettare un’alternativa compatibile con i limiti dell’ambiente. Oggi ecosocialismo deve intendersi, contemporaneamente come modo di produzione postcapitalistico, come prospettiva culturale di un diverso rapporto tra gli individui e la biosfera, come idea politica di democrazia dal basso che superi la democrazia rappresentativa. 

Infine ecosocialismo deve essere inteso come visione geopolitica per un rapporto tra i popoli gestito globalmente in modo paritario. Oggi il 10% più ricco del mondo rappresenta la metà delle emissioni globali di carbonio (IEA). Infatti, nel 2021 il 10% più ricco ha prodotto in media 22 tonnellate di CO2 pro capite, oltre 200 volte il 10% più povero: la giustizia climatica inizia dalla correzione di questa scandalosa disuguaglianza socioeconomica e i lavoratori e le lavoratrici, i salariati sfruttati del mondo sono ancora il motore sociale di questa necessaria trasformazione. 

Oggi rispetto a solo qualche decennio fa, la situazione dei cambiamenti globali è peggiorata moltissimo; non è più possibile parlare di baratro che si avvicina, perché nel baratro ci siamo già, ma gli incendi, le inondazioni, le ondate di calore, l’estinzione di specie, la siccità, gli eventi estremi che stiamo vivendo saranno poca cosa rispetto a quello che si prospetta se non si cambia sistema. 

Già oggi i danni prodotti dai cambiamenti climatici difficilmente trovano risorse finanziarie pubbliche per essere riparati. Come sempre, il capitale tenta di adattarsi alla nuova situazione e crescono gli interessi della finanza assicurativa per coprire i danni prodotti dalle catastrofi, della sanità privata per porre rimedi ai danni alla salute prodotti dagli inquinanti, dei gestori dei Canadair usati per bloccare gli incendi, delle multinazionali dell’acqua che, meno disponibile, diventa più cara. Il capitale guarda all’immediato, non si pone il problema di quando non sarà più possibile trovare risorse finanziarie per affrontare tali problemi.

Naturalmente gli anticapitalisti non devono limitarsi a gridare a lupo, al lupo, ma devono elaborare una strategia di superamento del capitalismo che faccia i conti con i tempi residui della crisi planetaria: la cosa è tutt’altro che semplice, ma deve essere questo il senso dell’anticapitalismo oggi. Le difficoltà sono enormi e il compito al limite del possibile. 

In questa strategia un posto fondamentale spetta alla classe dei lavoratori. I movimenti sindacali e i movimenti per il clima devono convergere contro i governi neoliberisti e i regimi autocratici. Il sindacalismo deve finalmente fare i conti con i vincoli ecologici. Un nuovo sindacalismo verde deve prendere il posto delle vecchie burocrazie socialdemocratiche e imprenditoriali e aprire una nuova stagione conflittuale dove siano i lavoratori e le lavoratrici a pretendere non solo la bonifica ecologica dei loro luoghi di lavoro, ma anche la radicale messa in discussione di ciò che producono, di quanto e come lo fanno.

Pretendere la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, il reddito minimo garantito, la nazionalizzazione delle compagnie energetiche ed il controllo pubblico delle risorse strategiche: il nuovo sindacalismo deve promuovere un’agenda occupazionale basata sulla conversione dell’industria fossile e la massimizzazione dei lavori verdi: il risanamento ambientale, educativo e sanitario è destinato a richiedere grandi quantità di lavoro sociale, immense opportunità occupazionali nella prospettiva della difesa delle popolazioni dagli effetti dei cambiamenti climatici.

In questo contesto, ogni vertenza ecologista locale, ogni battaglia che può sembrare minore, deve inserirsi nel contesto generale di progetto anticapitalista. Le battaglie nazionali in difesa dell’acqua pubblica, del mare pulito, del rifiuto del fossile devono collegarsi a livello planetario. La strategia complessiva può essere quella di tenere insieme le diverse contraddizioni, prospettando da subito l’alternativa complessiva.

Il tema della rivolta deve essere centrale: rivolta significa mobilitazione che chiede gli stessi diritti per tutti, uomini e donne, superando contemporaneamente patriarcato e capitalismo; che chiede una riscrittura costituzionale dove al valore di scambio si sostituisca il valore d’uso, dove si favoriscano i beni comuni contro l’accaparramento del profitto, dove venga incentivata la democrazia dal basso, dove non ci siano sperequazioni in base all’orientamento sessuale, alla religione, all’etnia, dove vengano tassati i patrimoni, dove vengano cancellate le spese militari.

Come mettere in moto questo movimento? Purtroppo si deve iniziare da zero o da sottozero per i guasti prodotti dalla sedicente sinistra, ma l’occasione dell’insostenibilità dei cambiamenti climatici può essere, se viene centrato come tema unificante, il grimaldello per aprire la strada al cambiamento di sistema.

Bisogna tener presente che questa è una battaglia che si combatte contro i capitalisti, ma non solo. Non è certamente facile convincere le masse alla necessità di cambiare stile di vita, limitando i consumi, la mobilità, l’energia.

È già ampio e si va ingrandendo il fronte dei negazionisti. Le destre, soprattutto le estreme, usano l’ignoranza e l’irrazionalità diffusa per accreditarsi ad essere chi vuole salvaguardare l’attuale normalità dai “sapientini”, uccelli del malaugurio. Si inventeranno complotti, metteranno in campo qualche vecchio scienziato rincitrullito per dire che la scienza è contraddittoria e che c’è chi vuole limitare le libertà individuali.

Sono dinamiche conosciute che bisogna saper affrontare. Già si vede che il partito degli allevatori intensivi olandese aumenta i consensi, che sovranisti alla Bolsonaro fanno campagne elettorali per espandere la produzione di carburanti fossili. 

Ma, se si pone l’obiettivo del superamento del capitalismo, bisogna riempire di contenuti concreti la transizione ad un sistema mondo nello stesso tempo socialista ed ecocompatibile. Soggetto che apre una discussione difficile e urgente, ma alla quale, dobbiamo dire la verità, siamo ancora impreparati.

Questo non è più il tema della città del sole, della futura umanità, del sol dell’avvenire, tema da riempire di giustizia, verità ed eguaglianza; è il tema della compatibilità ambientale, da riempire con giustizia, verità, eguaglianza ma anche con scienza, soluzioni tecnologiche adeguate, consapevolezza e, soprattutto, razionalità adeguata.