Primo Manifesto ecosocialista

di Joel Kovel e Micael Löwy (Settembre 2001)

Il XXI secolo è iniziato in toni catastrofici, con un livello senza precedenti di degrado ambientale ed un ordine mondiale caotico, caratterizzato dal terrore e da focolai di una devastante guerra a bassa intensità che si estendono come una cancrena lungo vaste aree del pianeta – Africa Centrale, Medio Oriente, America Latina nordorientale – e si riverberano in tutte le nazioni. Noi riteniamo che la crisi ecologica e quella sociale siano profondamente correlate e vadano viste come diverse manifestazioni delle stesse forze strutturali.

In termini generali, la prima è il risultato della industrializzazione galoppante che supera la capacità della Terra di ammortizzare e contenere la destabilizzazione ecologica. La seconda deriva da quella forma di imperialismo conosciuta come globalizzazione, con i suoi effetti disaggreganti sulle società che incontra lungo il suo percorso. Inoltre, queste forze sono essenzialmente aspetti diversi dello stesso impulso, che deve essere identificato come il meccanismo di base che muove il tutto: l’espansione del sistema capitalistico mondiale.

Rifiutiamo ogni eufemismo o riduzione propagandistica della brutalità di questo regime: ogni tentativo di greenwashing, ovvero di “dipingere di verde” i suoi costi ecologici, ogni mistificazione dei suoi costi umani nel nome della democrazia e dei diritti umani. Insistiamo, al contrario, sulla necessità di guardare il capitale dalla prospettiva di ciò che esso ha realmente provocato.

Agendo sulla natura e sul suo equilibrio ecologico, questo regime, con il suo imperativo di costante espansione dei profitti, espone gli ecosistemi a sostanze inquinanti e dannose; frammenta habitat che si sono evoluti nel corso di milioni di anni permettendo la nascita di organismi; consuma le risorse e riduce la vitalità sensuale della natura al freddo scambio richiesto dall’accumulazione del capitale.

Dal punto di vista dell’umanità, con le sue richieste di autodeterminazione, di comunità e di un’esistenza piena di senso, il capitale riduce la maggior parte della popolazione mondiale ad un mero serbatoio di forza-lavoro, mentre scarta la popolazione restante come fastidio inutile.

Ha invaso ed eroso l’integrità delle comunità attraverso la sua cultura globale di massa fatta di consumismo e depoliticizzazione. Ha esteso le disparità nella distribuzione della ricchezza e del potere fino a livelli senza precedenti nella storia dell’umanità. Ha lavorato a stretto contatto con una rete di stati-clienti servili e corrotti, le cui élite locali esercitano un’opera di repressione, sollevando il mandante dalle responsabilità dell’orrore. Inoltre ha messo in moto una rete di organizzazioni transnazionali sotto la supervisione generale delle potenze occidentali e della superpotenza degli Stati Uniti, per minare l’autonomia della periferia del pianeta e legarla all’indebitamento, mentre mantiene un enorme apparato militare per garantire la stabilità del centro capitalista.

Riteniamo che l’attuale sistema capitalistico non sia in grado di regolare, né tanto meno di superare, le crisi che ha scatenato. Non è in grado di risolvere la crisi ecologica, perché questo richiederebbe di porre dei limiti all’accumulazione, un’opzione inaccettabile per un sistema basato sulla regola del “crescere o morire!”.

E non è in grado di risolvere la crisi generata dal terrore o da altre forme di ribellione violenta perché, per farlo, dovrebbe abbandonare la logica dell’impero, cosa che imporrebbe limiti inaccettabili alla crescita e a tutto il modo di vivere sostenuto dall’impero stesso. La sua unica opzione è ricorrere alla forza bruta, aumentando così l’alienazione e piantando i semi di un ulteriore terrorismo, e del corrispondente contro-terrorismo, fino a diventare una nuova e perversa variante di fascismo.

Insomma, il sistema capitalistico mondiale è storicamente in bancarotta. È diventato un impero incapace di adattarsi, il cui stesso gigantismo finisce per mostrare la sua debolezza di base. In termini ecologici è profondamente insostenibile e deve essere modificato in maniera sostanziale, ovvero rimpiazzato, se vogliamo che ci sia un futuro degno di essere vissuto.

Dunque ci troviamo di nuovo davanti all’alternativa prospettata una tempo da Rosa Luxemburg: Socialismo o Barbarie!, in cui il volto di quest’ultima mostra i tratti del secolo che inizia, e assume le sembianze dell’eco-catastrofe, del terrore e del contro-terrore e della loro degenerazione fascista.

Ma perché il socialismo; perché riscoprire questa parola, in apparenza consegnata alla discarica della storia dai fallimenti delle sue interpretazioni nel XX secolo? Semplicemente per questa ragione: che per quanto colpita e mai veramente realizzata, la nozione di socialismo continua ad esprimere il superamento del capitale.

Se il capitalismo deve essere superato, compito che in questo momento torna ad essere urgente per la sopravvivenza della civiltà stessa, il risultato sarà necessariamente socialista, perché questo è il termine che indica l’avanzamento verso una società post-capitalistica. Se affermiamo che il capitale è radicalmente insostenibile e sfocia nella barbarie appena descritta, allora affermiamo anche che è necessario costruire un “socialismo” capace di superare le crisi che il capitale ha provocato.

E anche se i socialismi del passato non sono riusciti a farlo, poiché scegliamo di non sottometterci ad un destino barbaro, allora abbiamo l’obbligo di lottare per un altro socialismo che sia capace di vincere. E come la barbarie si è trasformata, riflessa nei vari momenti del secolo che è trascorso dal momento in cui Rosa Luxemburg ha espresso la sua fatidica alternativa, così anche il nome e la realtà del socialismo devono essere quelli che richiede il nostro tempo.

Per questi motivi decidiamo di chiamare la nostra interpretazione del socialismo “Ecosocialismo”, e di dedicarci alla sua realizzazione.

Perché l’Ecosocialismo? Vediamo l’Ecosocialismo non come la negazione, ma come la realizzazione dei socialismi del primo periodo del XX secolo, nel contesto della crisi ecologica. Come quei socialismi, esso si costruisce a partire dalla percezione del capitale come lavoro oggettivato, e si basa sul libero sviluppo di tutti i produttori, o, per dirlo in altre parole, sulla fine della separazione dei produttori dai mezzi di produzione.

Comprendiamo che i socialismi “del primo periodo” non sono riusciti a raggiungere questo obiettivo per ragioni che, sebbene risultino troppo complesse per essere trattate qui, possono riassumersi nei diversi effetti del sottosviluppo in un contesto dominato dall’ostilità dei poteri capitalistici. Questa congiuntura ha avuto numerosi effetti negativi sui socialismi reali, in particolar modo per quel che riguarda la negazione della democrazia interna e l’emulazione del produttivismo capitalista, e ha finito per condurre al collasso di queste società e alla rovina dei loro ambienti naturali.

L’Ecosocialismo mantiene gli obiettivi di emancipazione del socialismo del primo periodo e rifiuta tanto gli scopi riformisti e attenuati della socialdemocrazia quanto le strutture produttiviste delle varianti burocratiche del socialismo. Insiste, invece, nel ridefinire tanto il percorso quanto l’obiettivo della produzione socialista in una cornice ecologica. Lo fa in maniera specifica per quanto riguarda i limiti della crescita, essenziali per la sostenibilità della società. Limiti che, tuttavia, non sono abbracciati nel senso di imporre scarsità, bassa qualità della vita e repressione.

L’obiettivo, al contrario, consiste in una trasformazione dei bisogni e in un cambiamento profondo verso la dimensione qualitativa, prendendo le distanze da quella quantitativa. Dal punto di vista della produzione delle merci, questo si traduce in una valorizzazione dei valori d’uso rispetto ai valori di scambio – un progetto di ampia portata, basato sull’attività economica immediata.

La generalizzazione della produzione ecologica in condizioni socialiste può fornire la base per superare le crisi attuali. Una società di produttori liberamente associati non si ferma alla propria democratizzazione. Al contrario, deve insistere sulla liberazione di tutti gli esseri umani come propria base e proprio obiettivo, superando così l’impulso imperialista sia soggettivamente che oggettivamente.

Nel raggiungere questa meta, questo tipo di società lotta per superare ogni forma di dominio, ed in modo particolare quello basato sul genere e sulla razza. Essa supera le condizioni che danno origine alle derive fondamentaliste e alle loro manifestazioni terroristiche. Insomma, è una società mondiale ipotizzata su un grado di armonia ecologica impensabile nelle attuali condizioni. Un esito pratico di questo progetto comporterebbe, ad esempio, l’interruzione della dipendenza dai combustibili fossili, che sono parte integrante del capitalismo industriale.

Ciò a sua volta porterebbe alla riappropriazione materiale delle terre in mano all’imperialismo del petrolio, contemporaneamente permettendo il contenimento del riscaldamento globale e di altri fattori della crisi ecologica. Non è possibile leggere queste proposte senza pensare a quanti problemi pratici e teorici possono sorgere da esse ed anche, in modo scoraggiante, a quanto lontane esse siano rispetto all’assetto attuale del mondo sia per quel che riguarda le istituzioni sia per le forme in cui è presente nella coscienza. Non è necessario elaborare questi punti, che dovrebbero essere immediatamente riconoscibili per tutti. Ma vogliamo insistere perché essi siano visti nella giusta prospettiva.

Il nostro progetto non consiste né nel delineare ogni passo di questo percorso né nel cedere davanti all’avversario a causa del carattere opprimente del potere che ostenta. Piuttosto esso consiste nello sviluppare la logica di una trasformazione sufficiente e necessaria dell’ordine attuale e nell’iniziare a sviluppare le tappe intermedie in direzione di questo obiettivo. Facciamo questo con il proposito di pensare con maggior profondità a queste possibilità, e contemporaneamente cominciare a mettere insieme coloro che condividono queste stesse preoccupazioni.

Se questi argomenti hanno un valore, allora è bene che simili progetti, e le pratiche per realizzarli, nascano in modo coordinato in moltissime parti del mondo.

L’Ecosocialismo sarà internazionale, ed universale, o non sarà. Le crisi del nostro tempo possono e devono essere viste come opportunità rivoluzionarie che è nostro dovere affermare e realizzare.