Aborto: un diritto negato

di Maria Giuseppina Izzo

In questo momento storico, stiamo assistendo a un forte aumento del controllo e della subordinazione delle donne e dell’azione per normalizzare la loro capacità riproduttiva e il loro diritto di autodeterminazione. Questo accade in forme differenti e in diverse parti del mondo, dove il diritto di autodeterminazione, rispetto alla scelta di un’eventuale maternità, è negato attraverso la messa in discussione o addirittura il divieto del diritto di aborto fino a situazioni che possono apparire opposte, perché rimandano a posizioni pro aborto, che in realtà tuttavia rappresentano forme di aborto coatto, tutto con il solo fine di negare il diritto di scelta delle donne.

Obiezione di coscienza, leggi restrittive, campagne di stigmatizzazione, aborto coatto. Dagli Stati Uniti alla Polonia, passando per il nostro paese, il diritto all’autodeterminazione in tema di maternità e quindi l’accesso all’aborto sono a rischio.

Dagli Stati Uniti, dove il diritto all’aborto è messo in seria discussione dalle decisioni in merito della Corte Suprema, per passare alla Polonia dove l’aborto è di fatto vietato, cosa che in questo momento, causa guerra, coinvolge anche le donne ucraine che hanno trovato rifugio in Polonia, per passare all’Italia dove, da quarantatrè anni, la 194 è costantemente sotto attacco. Nel nostro paese, infatti, in almeno quindici ospedali il 100% dei ginecologi è obiettore di coscienza, i consultori sono completamente scomparsi, i movimenti pro vita campeggiano in ogni struttura pubblica, s’introducono procedure come la sepoltura dei feti e la conseguente criminalizzazione delle donne che abortiscono e dove l’emergenza sanitaria, dettata dalla pandemia, ha acuito la difficoltà di accesso alla interruzione volontaria di gravidanza.

 In diverse parti del mondo, quindi, l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza é messo in discussione, a partire dagli Stati Uniti, paese epicentro del capitalismo mondiale, paese anticipatore, dove l’attacco alle donne si è trasformato in guerra dichiarata. Un attacco che prosegue da decenni per smantellare il diritto all’IVG assistita, sancito nel lontano 1973, a seguito dei grandi movimenti sociali delle donne e dei neri e contro la guerra nel Vietnam, ultima stagione dei movimenti vittoriosi negli Stati Uniti. E dove la corte suprema ha deciso di affossare la legge che consentiva l’aborto dando via libera alle più svariate leggi e provvedimenti restrittivi emanate dai singoli stati. Basti pensare allo stato del Texas in cui una legge ha previsto che l’aborto sia previsto solo nelle prime sei settimane di gravidanza (quando spesso una donna non sa nemmeno di essere incinta) ed è istituito il diritto alla delazione per cui semplici conoscenti possono denunciare le donne che hanno abortito e l’aborto non è consentito nemmeno nei casi di stupro e d’incesto. 

Fortunatamente c’è stata una risposta massiccia a tutto questo, rappresentata dalla reazione di migliaia di persone, scese in piazza per difendere il diritto all’aborto. A Washington la marcia è terminata di fronte alla Corte Suprema con migliaia di persone che hanno manifestato per il diritto di aborto in tutto il paese da New York a Washington, da Los Angeles a Boston passando per Austin bastione democratico del Texas repubblicano e ultraconservatore. Anticipando, di fatto, l’estate di rabbia che si paventa in giugno quando, infatti, la corte suprema dovrà decidere in merito e l’orientamento previsto, emerso dalla bozza, trapelata e pubblicata di recente, è quello di capovolgere la Roe v. Wade, la storica sentenza de 1973 che ha legalizzato l’aborto appunto nel 1973. Proprio la fuga di notizie dalla corte suprema agli inizi di maggio è alla base della protesta delle donne americane, in particolar di quelle più povere e quindi più deboli, che non vogliono vedersi strappare un diritto faticosamente conquistato in anni e anni di battaglie.

Per fortuna e di contro esistono degli stati in cui il diritto di abortire è tutelato e amplificato. Esempi in questo senso sono dati da paesi come la Spagna dove, dal 14 aprile scorso, molestare, intimidire, offendere una donna che abbia deciso di interrompere una gravidanza o un operatore sanitario che abbia procurato un aborto, é un reato punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con il lavoro a beneficio della comunità da trentuno a ottanta giorni. 

E ancora in Colombia dove vige, dal febbraio di quest’anno, un’ampia depenalizzazione dell’aborto per tutti i motivi e fino a 24 settimane, decisa dalla Corte Costituzionale laddove, fino a quindici anni fa, il paese era uno in cui l’aborto era completamente proibito e oggi invece è uno dei paesi con una delle legislazioni più avanzate in questo campo, riconoscendo, di fatto, l’aborto come un diritto umano fondamentale per le donne a fronte di circa 400.000 aborti per anno, tutti clandestini, e spesso praticati in situazioni deplorevoli.  

Alla realtà esistente, fatta di situazioni di  fatto ostative nella maggior parte dei casi e di situazioni in via di miglioramento, si contrappone come sottobosco  un’altra faccia di questa questione che è speculare e contemporaneamente  in apparenza contrapposta . Parlo della contrapposizione tra movimento per la vita e libertà di scelta. Esemplificativo in questo senso è la notizia che Jeff Bezos,  proprietario della multinazionale Amazon ha avuto l’idea di voler pagare le sue dipendenti che vogliono abortire risolvendo, di fatto, questioni come gravidanze, permessi, assenze, indennità e quanto altro legato al diritto di maternità. Questa decisione è complementare alla visione strategica generale e rappresenta anch’essa un salto di qualità nella guerra contro le donne, che passa dalle condizioni sociali e di lavoro, che rendono problematica la scelta della maternità, all’istigazione all’aborto coatto da parte della più grande azienda del mondo, fungendo di fatto da apripista anche per altri.

Queste situazioni, di fatto, evidenziano  come le posizioni, apparentemente contrapposte tra stati e imprese, sono in realtà falsificazioni di un gioco di parti che esprime da un lato posizioni antiabortiste, mentre si sostengono chiaramente le imprese nei loro interessi di parte, e dall’altra parte posizioni pro aborto, finalizzate esclusivamente a tutelare i profitti e gli interessi delle aziende che in questo modo guadagnano in termini di assistenza e di riconoscimento di diritti fondamentali quali quelli della maternità, mentre contemporaneamente si finanziano movimenti pro vita. Il risultato è in ogni caso un gioco sulla pelle delle donne, sul loro diritto di autodeterminazione e sulla possibilità di poter coniugare il diritto al lavoro e la scelta di un’eventuale maternità.  

In queste condizioni gli stati sono concordi nel loro sostenere l’attacco bilaterale al diritto di autodeterminazione delle donne e alle loro paure, difficoltà dettate da una condiziona sociale d’inferiorità e quindi di sottomissione.

In questo processo storico sono ben riconoscibili alcuni aspetti che sono  rappresentati dal passaggio definitivo dall’ideologia alla pratica nella guerra interna contro le donne, dal carattere strutturale di questa guerra che non è fatta da sette religiose ma rimanda ad una base istituzionale ad alto livello, dal  carattere trasversale del rafforzamento dello schieramento nazionalista all’insegna di valori conservatori al cui centro troviamo dio, patria e famiglia e dal carattere internazionale che scavalca persino gli schieramenti bellici e la dice lunga anche sul carattere imperialista della guerra in atto.

Mi piace ricordare, per chiudere questa panoramica sul diritto di aborto, anche perché come tante donne della mia generazione riconosco molto di autobiografico, un film “L’événement” di Audrey Diwan tratto da un libro forte e vero di Annie Ernaux, film crudo e violentemente sincero che racconta di una esperienza di aborto clandestino che riporta a galla un passato non cosi lontano, le donne degli anni settanta e ancor prima, in cui il progresso sociale che pensavano di aver conquistato per sempre si scontra con la realtà drammatica di paesi come possono essere oggi la Polonia, il Texas e persino l’Italia con i suoi tanti obiettori di coscienza.

Le donne non vogliono tornare indietro,hanno già dato tanto,troppo.

“e se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza, contribuirei a oscurare la realtà delle donne schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo”.

Panoramica sulla situazione attuale in tema di diritto all’aborto

Ma quali sono i paesi in cui l’aborto è legale? Dopo l’approvazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVE), l’Argentina è entrata a far parte del gruppo dei 67 paesi nel mondo in cui l’aborto è legale. In America Latina ce ne sono pochi, una manciata, Cuba, Uruguay, Porto Rico, Guyana e Guyana francese. Il Center for Reproductive Rights ha una mappa globale, che indica quali sono le nazioni che consentono l’interruzione delle gravidanze, quelli che la approvano in determinate situazioni (come preservare la salute o salvare la vita di una donna) e quelle che lo vietano completamente. Il grafico non ha ancora aggiornato il colore dell’Argentina, che ora dovrebbe essere blu, come l’Australia, gli Stati Uniti e la stragrande maggioranza dell’Europa. Detto grafico ha due paesi aggiornati che hanno ricevuto modifiche negli ultimi tempi. L’Irlanda, dopo un referendum, ha legalizzato la pratica dell’aborto. E il Cile, che l’anno scorso ha approvato la pratica in “determinate circostanze”. Nel resto della regione, Colombia e Perù consentono anche l’interruzione delle gravidanze in casi e condizioni specifici. Ad Antigua e Barbuda, Brasile, Dominica, Guatemala, Panama, Paraguay e Venezuela, l’aborto è vietato con l’unica eccezione: il rischio per la vita della donna. In Messico, ogni stato ha la propria legislazione sull’aborto, quindi le restrizioni sono varie. Solo a Città del Messico e Oaxaca è consentito l’aborto gratuito e incondizionato durante le prime 12 settimane di gravidanza. Altri paesi sono più estremi: l’IVG è vietata in ogni circostanza. Questi sono El Salvador, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Haiti e Suriname. L’Ecuador ha incorporato la possibilità di aborto nel caso in cui la gravidanza sia il risultato dello stupro di una donna con disabilità mentale. Ce ne sono altri 14 che lo consentono per ragioni socioeconomiche. Spiccano Giappone, Regno Unito, India, Finlandia, Hong Kong, Etiopia e Zambia. Nel mondo, contando l’Argentina, sono 67 i paesi che autorizzano l’interruzione delle gravidanze. Più del 60% della popolazione mondiale vive in regioni in cui l’aborto indotto è consentito in base a criteri generali, secondo le informazioni del Center for Reproductive Rights. Come l’Argentina dal 30 dicembre 2020, gli Stati Uniti garantiscono l’accesso legale agli aborti sicuri. I limiti gestazionali dello stato variano, ma sono in genere compresi tra 20 e 24 settimane. È consentito anche in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Mozambico, Tunisia, Vietnam, Cambogia, Russia, Cina, Mongolia, Corea del Nord e in tutta Europa, escluse Gran Bretagna, Polonia e Vaticano.

L’ELENCO COMPLETO DEI PAESI CHE CONSENTONO L’ABORTO LEGALE

Albania, Armenia, Australia, Austria, Azerbaigian, Bielorussia, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cambogia, Canada, Capo Verde, Cina, Croazia, Cuba, Cipro, Repubblica Ceca, Corea, Danimarca, Estonia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Repubblica di Guinea-Bissau, Guyana, Ungheria, Irlanda, Italia, Kazakistan, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Maldive, Moldavia, Mongolia, Montenegro, Mozambico, Nepal, Paesi Bassi, Macedonia, Norvegia, Portogallo, Porto Rico, Romania, Russia , São Tomé e Príncipe, Serbia, Singapore, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Stati Uniti, Uruguay, Uzbekistan e Vietnam.