Portogruaro, la “Buona scuola” spezza un’altra giovane vita

Ieri, 16 settembre, ancora una volta, come già nei mesi scorsi, Giuliano De Seta, uno studente di un istituto tecnico, questa volta a Portogruaro (VE), è morto dopo essere stato colpito da una lastra di metallo che gli ha schiacciato le gambe mentre era impegnato in stage per acquisire crediti scolastici.

Si è riaperto da poche ore, l’anno scolastico e con esso sono riprese le “attività di alternanza scuola-lavoro”, i famigerati PCTO, i “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”. E, tragicamente si è riaperta la partita degli incidenti e delle morti degli studenti impegnati in questi stage aziendali.

Ricordiamo che l’uso di questi stage è stato esteso nel 2015 a tutti gli istituti superiori con la “riforma” della Buona scuola (precedentemente la cosa era limitata agli istituti professionali).

Di fronte alle contestazioni Renzi ebbe a dire: “L’alternanza è sfruttamento? Assolutamente no! Anzi, è il contrario: è valorizzazione del talento di ciascun studente in un percorso protetto di formazione. E se per i giovani l’alternanza scuola-lavoro rappresenta un’interessante opportunità di crescita e di conquista di nuove skills utili per l’inserimento nel mercato del lavoro, per le aziende rappresenta un ottimo investimento nel capitale umano”. Non a caso la legge 107 contempla lo stanziamento di 100 milioni l’anno per “premiare” le aziende che si prestano a sfruttare sostanzialmente gratis i giovani studenti.

Per di più, risulta totalmente irresponsabile e criminale utilizzare giovani studenti del tutto impreparati ad affrontare le dinamiche di un mondo del lavoro sempre più sottomesso alla logica spietata del profitto, una logica che già aggiunge ogni anno più di mille nomi alla tragica statistica dei morti sul lavoro.

Di questo omicidio, come dei precedenti, risultano politicamente responsabili l’ideatore dell’alternanza (Matteo Renzi) e la sua ministra Stefania Giannini, e i successori di quest’ultima (Fedeli, Bussetti, Fieramonti, Azzolina e Bianchi) che, con maggiore o minore determinazione si sono comunque rifiutati di sopprimerla.