Sostenitori di Bolsonaro in un blocco stradale. Lo striscione dice: "Se sei con Bolsonaro, suona il clacson"

Bolsonaro come Trump

di Fabrizio Burattini

“Silenzio sepolcrale”. E’ così che i mass media brasiliani hanno descritto l’ostinata, ostentata e assordante scelta del presidente uscente Jair Bolsonaro di rifiutarsi per ben due giorni di pubblicare qualunque dichiarazione o commento sulla sua sconfitta elettorale di domenica.

Così, i camionisti e i gruppi di estrema destra che li avevano aizzati si erano sentiti legittimati dal silenzio del loro leader indiscusso. E i blocchi stradali (se ne sono contati oltre 150) erano continuati. 

Poi, nella serata di martedì, con un comportamento non dissimile a quello che fu di Donald Trump nel gennaio 2021, Bolsonaro ha parlato, evitando accuratamente ogni riferimento al suo avversario Lula e alla vittoria elettorale di quest’ultimo. I blocchi stradali li ha definiti “movimenti popolari, risultato dell’indignazione e del sentimento di ingiustizia per come si è svolto il processo elettorale”. “I nostri metodi” ha detto “non possono essere quelli della sinistra, che danneggiano la popolazione, come l’invasione della proprietà, la distruzione del patrimonio e la limitazione del diritto di andare e venire” (nascondendo le centinaia di chilometri di ingorghi che si sono creati nelle principali arterie stradali del paese, con ripercussioni gravissime: si contano decine di ambulanze che non sono riuscite ad arrivare agli ospedali). Nel suo brevissimo discorso ha ringraziato i suoi elettori e si è detto orgoglioso di essere il leader di una parte della popolazione, “milioni di brasiliani che, come me, difendono la libertà economica, la libertà religiosa, la libertà di opinione, l’onestà e i colori verde e giallo della nostra bandiera”. “Abbiamo formato molti leader in tutto il Brasile. Il nostro sogno è più vivo che mai. Siamo per l’ordine e il progresso”. E ha concluso il suo discorso scandendo: “Dio, patria, famiglia e libertà”.

Così, nella nottata appena trascorsa, dopo il discorso del presidente sconfitto e dopo gli interventi concilianti ma fermi della polizia (con centinaia di arresti e di fermi), i blocchi hanno cominciato a sciogliersi, a diradarsi.

Il movimento non era guidato dalle tradizionali leadership sindacali dei camionisti, ma da settori militanti e golpisti dell’agrobusiness, che hanno utilizzato i propri apparati e i propri dipendenti per portare avanti l’agitazione golpista. 

E’ sembrato un movimento isolato e per ora con scarso sostegno da parte dello schieramento politico bolsonarista. Ma era un movimento che indubbiamente cercava di guadagnarsi la simpatia della base popolare che ha votato Bolsonaro. Sono gli imprenditori che si battono con tutti i mezzi per il diritto di arricchirsi distruggendo impunemente biomi e territori, schiavizzando lavoratrici e lavoratori, espellendo gli indigeni dalle loro terre. Per loro Bolsonaro fuori dal potere significa meno spazio e meno profitti milionari nelle regioni del Pantanal, del Cerrado, in Amazzonia. E’ l’ideologia dei confederati nordamericani, di chi è disposto alla guerra civile per guadagnare soldi e potere in nome di ciò che chiamano “Dio, patria e famiglia”, che nel loro gergo (e in quello di tutta l’estrema destra parafascista mondiale) significa “vogliamo essere onnipotenti (Dio) perché il paese (la patria) diventi un bene della nostra famiglia”

Dunque Bolsonaro, nonostante la sconfitta, lascia al gigante latinoamericano un’eredità maledetta e un “bolsonarismo” tutt’altro che finito. Così come il trumpismo negli USA è tutt’altro che sconfitto dopo la vittoria di Joe Biden di due anni fa.

Bolsonaro non è un politico di estrema destra come ne circolano tanti – ahimé – in tutto il mondo da anni a questa parte. E il Brasile non è un paese come gli altri, tanto più dopo i quattro anni devastanti durante i quali la preoccupazione principale del presidente non è stata affatto quella del benessere dei suoi concittadini, né economico (il reddito della stragrande maggioranza delle brasiliane e dei brasiliani è caduto indietro di anni), né sanitario (sono quasi 700.000 i morti per Covid nel paese, molti dei quali sacrificati consapevolmente per la mancanza di ossigeno), né ambientale (è nota la rovina galoppante della foresta amazzonica). La preoccupazione principale, forse unica, di Bolsonaro e del suo entourage è stata quella di coltivare e far crescere il bolsonarismo militante, con quel misto di ideologia fondamentalmente ignorante, reazionaria, genocida, negazionista, misogina, razzista, brutalmente classista, sprezzante e fascista che lo caratterizza.

L’opinione pubblica democratica brasiliana si stupisce per quei milioni di elettori, che magari non sono ideologicamente estremisti di destra, ma che sono rimasti in silenzio di fronte alla devastazione economica, sociale, politica, ambientale del paese e che soprattutto ne hanno premiato con il recente voto il principale colpevole.

A Bolsonaro restano due mesi prima che Lula assuma la presidenza il 1° gennaio del prossimo anno. Esiste una legge che regola il periodo di “passaggio di consegne”. Bolsonaro la rispetterà? E soprattutto, in questi due lunghi mesi, il presidente uscente continuerà ad essere il capo indiscusso di tutti gli organi dello stato, dai vari corpi di polizia all’esercito. E Bolsonaro in questi quattro anni ha costruito e conquistato a sua immagine e somiglianza buona parte dell’apparato delle forze di sicurezza federali e statali.

Bolsonaro, quale che sia il suo orientamento per la giornata del 1° gennaio, ha tutte le intenzioni, tutta la spregiudicatezza e tutto l’interesse a far sì che la tensione rimanga fino a quella data. E’ il segnale affinché, anche di fronte ad un regolare insediamento di Lula, la militanza bolsonarista rimanga attiva e pronta a scendere anche fisicamente in campo di fronte alle scelte politiche complesse che il nuovo governo sarà chiamato a fare.

Sarà perciò necessario che il movimento sindacale, i movimenti sociali, il movimento studentesco, la sinistra politica non si limitino a festeggiare la vittoria del 30 ottobre ma mantengano alta la mobilitazione per i loro obiettivi sociali e ambientali e contro qualsiasi segnale golpista che si manifesti nel paese.