Ernest Mandel, alla fine degli anni '60, durante un suo viaggio in Perù, discute con il dirigente contadino Hugo Blanco e con vari indios.

Mandel, Ernest, un ricordo

Il testo che segue vuole offrire ulteriori elementi di conoscenza su Ernest Mandel, di cui ricorre in queste settimane il centenario della nascita. E’ un articolo che il nostro collaboratore Yorgos Mitralias ha scritto nel novembre 1995 in memoria del suo maestro Ernest Mandel, che era scomparso qualche meseprima stato pubblicato in greco sulla rivista Spartakos (dell’OKDE, la sezione greca della Quarta Internazionale) nel novembre 1995. Yorgos Mitralias, durante la dittatura dei colonnelli che ha governato la Grecia dal 1967 al 1974, ha vissuto a lungo in Italia e in Belgio dove ha frequentato Ernest Mandel.

di Yorgos Mitralias

Nel tentativo di mettere in ordine le mie idee e – ahimè – i miei ricordi di Ernest Mandel, non trovo nulla da dire se non che egli ha sempre cercato l’essenza della vita. Sia delle persone nel loro insieme che di ogni singolo individuo.

In ultima analisi, tutto ciò che faceva, e tutto ciò che cercava di insegnare agli altri, era un’estensione di questo atteggiamento profondamente morale nei confronti della vita. Che cosa rende una vita degna di essere vissuta? O, in altre parole, cosa dà significato, fascino e dignità al nostro tempo altrimenti effimero su questa terra?

Mandel, non solo marxista

“Ma come è possibile che tali preoccupazioni e riflessioni abbiano potuto affliggere un Mandel?”, esclameranno sicuramente tutti coloro per i quali Mandel era “solo” un importante marxista, economista o rivoluzionario intransigente. Il loro stupore è giustificato. La nostra epoca, che si dibatte nella barbarie delle mostruosità capitalistiche e nelle macerie della controrivoluzione staliniana, non permette più tali… lussi. È ridotta a vegetare nel suo sfrenato e decadente cinismo “postmoderno”…

Ma Mandel era… all’antica. Forse l’ultimo della vecchia guardia. Era la memoria vivente delle (vituperate) tradizioni del marxismo rivoluzionario, quelle che ponevano l’essere umano ferito e alienato alla base e al centro delle loro preoccupazioni. Tutto il suo insegnamento, la sua pratica e la sua vita erano dedicati a questo essere umano spezzato e frammentato e alla sua lotta titanica per la sua emancipazione e realizzazione.

È questo che ha reso il marxismo antropocentrico (e quindi autentico) di Mandel anni luce avanti rispetto al marxismo smunto e contraffatto degli epigoni staliniani. È anche ciò che lo rendeva un brillante oratore e un ancor più brillante educatore, desideroso di tirare fuori il meglio dai suoi studenti e ascoltatori. Per quanto possa sembrare incredibile, il “cerebrale” Mandel, sempre ben vestito e dall’aspetto professorale, sapeva affascinare e convincere perché faceva appello soprattutto a quei sentimenti che ci hanno insegnato a nascondere…

Dare senso all’esistenza

Per Ernest, la base e il punto di partenza di tutto era la “santa indignazione”, quella rabbia che porta alla rivolta attraverso la consapevolezza della nostra personale miseria. “Non possiamo vivere come un essere umano degno di questo nome nel mondo terribile in cui viviamo, quando ogni quattro anni 60 milioni di bambini nel Terzo Mondo muoiono di fame e di malattie perfettamente curabili!”. E battendo il dito sul tavolo per sottolineare ogni sillaba della frase, Ernest concluse: “Sono tanti morti quanti ne sono morti in tutta la Seconda Guerra Mondiale. Questa è la brutta faccia della società in cui viviamo: ogni quattro anni una guerra mondiale contro i bambini!”.

No, Ernest non aveva nulla a che fare con i professionisti del marxismo, né con i vari “progressisti” che spaccano i capelli e hanno come unica ambizione il riconoscimento della “comunità accademica”. Non era interessato a tutto questo, per una ragione: perché non può riempire una vita. Perché non è importante, non è interessante, non ha valore, è incapace di dare risposte ai nostri dilemmi esistenziali e di dare un senso all’esistenza umana.

La misura di tutto è quindi (per Ernest) la rivendicazione del diritto elementare all’indignazione, alla rabbia e alla rivolta. Non perché lo richiedano le “leggi naturali” o un certo determinismo storico. Né perché sia un “dovere” politico o di classe. Per Mandel, “impegnarsi politicamente contro questo, lottare politicamente contro questo, lottare per un mondo in cui il sorriso possa sbocciare sul volto di tutti i bambini del mondo, è l’unico atteggiamento degno dell’uomo che si possa avere, dell’uomo, della donna, dell’essere umano”. Né più né meno…

Dubitare di tutto

Quindi Ernest Mandel è un “moralista”? Certamente sì, ma almeno tanto “moralista” quanto lo era Lenin quando insisteva sul fatto che “la coscienza della classe operaia può essere una vera coscienza politica solo se i lavoratori sviluppano l’abitudine di opporsi a qualsiasi usurpazione del potere, a qualsiasi manifestazione di arbitrio, di oppressione e di violenza, indipendentemente dalle classi che ne sono vittime” (“Che fare?”). Ma, 90 anni dopo, cos’altro dice Ernest Mandel quando esorta i giovani a ricordare ciò che “Marx stesso chiamava la regola morale e l’imperativo categorico della lotta”? Quando li invita a lottare “sempre e ovunque, e incondizionatamente, contro ogni forma di alienazione, oppressione, repressione e sfruttamento degli esseri umani”.

Ernest era un vero figlio spirituale di Marx quando ci invitava a “dubitare di tutto”.

Ma è stato anche un autentico continuatore della tradizione marxista più umanista quando ci ha assicurato che esiste un’eccezione a questa regola, qualcosa su cui non ci possono essere dubbi. Come Marx (dimenticato e falsificato), Ernest trovava che “c’è qualcosa di sublime in quella certezza morale che non ammette dubbi” (…). Tagliente, categorico ma anche lirico, riassume in tre righe mozzafiato la “regola morale” sempre presente dell’essere umano realizzato: “Sempre contro l’establishment, sempre contro l’ingiustizia, qualunque siano le speranze, le formule, le scadenze, sempre!”

Non ci facciamo illusioni. Tutto ciò sembrerà certamente strano, inaspettato, superato e “naturalmente” molto “idealista” ai “progressisti” del nostro tempo che hanno persino dimenticato il significato della parola “solidarietà”. In particolare, questo categorico e risoluto “incondizionato” dovrebbe sconvolgere chi ha imparato a contrattare la propria solidarietà e a cedere a ogni sorta di opportunità partitica, ideologica o anche più… prosaica. A coloro che rifiutano il moscerino e ingoiano sistematicamente il cammello…

L’uomo soggetto della Storia

Non ci illudiamo neppure che molti troveranno questa regola morale “un po’ striminzita” e “insufficiente” per fungere da bussola nei nostri tempi confusi e complessi. Naturalmente, la visione del mondo di Mandel non finisce qui. Ma chi avrebbe il coraggio di mettere in discussione ciò che oggi tutti riconoscono… a posteriori? Chi oserebbe affermare che il movimento operaio e socialista, anzi il nostro stesso mondo, non sarebbe totalmente diverso se questa elementare regola morale non fosse caduta da tempo nella pattumiera della storia?

Ma l’uomo non diventa un soggetto della storia solo grazie alla santa indignazione che ogni ingiustizia gli suscita. Partendo da questa solida base, deve andare oltre, per comprendere a fondo il mondo in cui vive. “Studiate le scienze umane (…) cercate di assimilare le linee principali di un’interpretazione scientifica della storia, la successione dei regimi sociali, la successione dei regimi politici, (…) fate quello che volete, ma fatelo con uno spirito scientifico, che è lo spirito di Marx”, diceva Mandel rivolgendosi ai giovani. In altre parole, amate ciò che fate e non fate nulla di amatoriale solo per alleggerirvi la coscienza.

Mandel era terribilmente esigente, forse perché si era imposto una disciplina che a noi sembrava irraggiungibile. Ma non si trattava di questo. Non gli piacevano i “quasi”, la sciatteria e il dilettantismo perché li vedeva come mancanza di serietà richiesta dalle circostanze. Mentre poteva rubare ore del suo prezioso tempo, così meticolosamente organizzato, per parlare al contadino indio analfabeta nelle Ande o al minatore immigrato nel Limburgo belga, mentre era sempre disponibile per una presentazione anche a un piccolo pubblico di sindacalisti o di studenti, non tollerava la minima chiacchiera insipida. Così quest’uomo, di solito così calmo e riservato, si incupiva e troncava la conversazione quando scopriva (ancora sorpreso) che il suo interlocutore parlava così, tanto per passare il tempo, senza alcuna passione e senza alcuna motivazione.

Severo? Certo, sì, perché viveva ogni momento come la corda tesa di un arco teso al cuore del suo bersaglio. Ma mai monotono e sprezzante di tutto ciò che si allontanava dai suoi interessi immediati. Con grande sorpresa dei suoi interlocutori, poteva passare dal “modo di produzione asiatico” al contributo dei surrealisti all’arte moderna, dal suo amato Spinoza al contributo di Dashiell Hammett al romanzo poliziesco o all’importanza dei Pink Floyd (allora all’inizio della loro storia) nell’evoluzione della musica rock! No, Ernest non era né monodimensionale né antiquato. Semplicemente, aveva un tale rispetto per tutto e per tutti che non gli passava nemmeno per la testa di non poterli affrontare con la massima serietà e sensibilità.

Un “uomo del Rinascimento”

I suoi criteri erano quindi semplici, ma totalmente inaccessibili a tutti noi. A scanso di equivoci, ecco come Ernest definiva l’archetipo dell’autentico marxista rivoluzionario verso il quale tutti i giovani “contestatori” che scoprono la politica possono e devono tendere: un marxista rivoluzionario è colui che “può confrontarsi con successo con i migliori rappresentanti del pensiero borghese, e persino con ciascuno di essi nel proprio campo”!!!

E prima che i giovani stupefatti potessero rendersi conto di cosa stesse parlando, Mandel consegnava loro tre pagine ciclostilate (da lui stesso) di “letteratura marxista di base”, tratte dai primi 100 libri di politica, storia, economia, sociologia (Scuola di Francoforte) e psicoanalisi (Fromm e Freud), che avrebbero dato loro un assaggio dell’ancor più faticoso ma necessario passo successivo.

Anche in questo caso, non si trattava di una visione irrealistica e “troppo ottimistica” delle cose da parte di Ernest Mandel. I suoi criteri non erano diversi da quelli formulati all’inizio del secolo dalla “teoria leninista dell’organizzazione” prima che si riducesse alla disumana mostruosità staliniana che tutti conosciamo. Quelle che potevano essere percepite come le assurde richieste di un uomo completamente separato che… giudicava gli altri in base a se stesso, non erano altro che la dimostrazione del più pragmatico realismo: che sia un intellettuale o un operaio (!), il marxista rivoluzionario può svolgere efficacemente il suo ruolo solo se è adeguatamente armato, il che significa che deve avere (o almeno tendere ad avere) una formazione polivalente. Il motivo è semplice: è proprio questo che richiedono le esigenze letteralmente inedite e quindi gigantesche del processo coscienziale che culmina nella formazione della coscienza politica della classe operaia.

Il rivoluzionario Ernest Mandel era un autentico “uomo del rinascimento”. Non era solo un filosofo, un economista, uno storico e un sociologo, ma anche un organizzatore, un agitatore clandestino e un capopopolo. Non solo un grande teorico, ma anche un umile militante impegnato nella grande causa dell’emancipazione dei lavoratori. Non solo un vero figlio di quella tormentata società borghese che non avrebbe mai potuto assimilarlo, ma anche un esemplare rappresentativo dell’uomo totale della società socialista del futuro. Come da Vinci, Beethoven, Marx, Trotsky o il suo amico e omonimo Ernesto Che Guevara prima di lui, il nostro contemporaneo Ernest Mandel è stato la conferma vivente dell’infinito potenziale dell’uomo che rifiuta di sottomettersi. Mandel era e rimane una fonte inesauribile di speranza per tutti coloro che vogliono chiudere questo capitolo della “preistoria umana” prima che sia troppo tardi per il pianeta e la specie umana.

Concludiamo questo breve elogio dell’uomo che ci ha segnato come nessun altro ascoltandolo parlare ancora della sua vita, ma anche dell’essenza delle cose, cioè di ciò che rende una vita degna di essere vissuta:

“Vi assicuro, lo dico ora sulla base di un’esperienza personale di cinquantacinque anni di attivismo, che questo impegno morale, se lo si mantiene, è anche una fonte di felicità individuale. Non si soffre di coscienza sporca, non si ha un complesso di colpa, si possono commettere errori, chiunque può commettere errori. Ma noi sbagliamo per una buona causa. Non abbiamo sbagliato causa, non abbiamo cinicamente sostenuto torturatori, assassini, sfruttatori, No! Mai! A nessuna condizione!

Addio, amato maestro.