Lenin e il nazionalismo

L’antefatto storico della vicenda ucraina

di Aldo Bronzo

La posizione di Lenin e dei bolscevichi in generale sul problema delle nazionalità e dell’Ucraina in particolare assunse connotazioni specifiche già negli anni antecedenti la presa del potere. Più in dettaglio per tutto il periodo antecedente gli avvenimenti rivoluzionari del 1917 Lenin sostenne con vigore le spinte nazionalistiche che pervadevano l’impero tzarista, in quanto valutava quelle spinte alla stregua di una potenziale forza dirompente nei confronti delle mene dittatoriali dell’autocrate moscovita che dal suo canto soffocava ogni sollecitazione autonomistica ricorrendo alla repressione più spietata. Ma il tutto rientrava, nella riflessione del leader bolscevico, nell’ambito di una strategia rivoluzionaria complessiva che ancorava le aspirazioni nazionali a quelle sociali e in particolare alla rivendicazione che si basava sull’esproprio della terra dei latifondisti e l’assegnazione della terra stessa ai contadini che ne erano privi. Di qui prese le mosse la teoria bolscevica dell’autodeterminazione che, concepita in termini differenziati e dinamici, valutava il problema dell’autonomie nazionali in maniera estremamente articolata, connettendola in ultima analisi al carattere della società in cui il diritto stesso veniva rivendicato, alle dinamiche sociali e politiche in corso e, all’occorrenza, alle esigenze strategiche della lotta rivoluzionaria.

Tutto ciò peraltro era destinato a ricevere un’applicazione peculiare per via del rapido passaggio del processo rivoluzionario russo, tra il febbraio e l’ottobre del 1917, dalla fase democratico-borghese a quella socialista, nel senso che le connotazioni internazionaliste assunte dagli avvenimenti in corso sembravano caratterizzare le stesse rivendicazioni nazionaliste come un passo transitorio obbligatorio, cioè come una sorta di inevitabile interlocuzione temporale verso l’internazionalismo socialista. In pratica appariva plausibile come tutto ruotasse attorno all’assunto ormai consolidato secondo il quale il movimento operaio internazionale, una volta consolidatasi in Russia la caratterizzazione socialista del processo rivoluzionario, si sarebbe opposto al principio della separazione, mentre a ragion veduta avrebbe optato per le superiori esigenze della solidarietà internazionale grazie al ricorso a soluzioni rivoluzionarie di matrice proletaria. In definitiva, nello schema strategico di Lenin e dei suoi seguaci, bisognava che il diritto all’autodeterminazione continuasse a essere riconosciuto, restando comunque inteso che la sua attuazione concreta andava correlata agli equilibri della situazione internazionale e alla prevedibile estensione del processo rivoluzionario su scala mondiale.

Confortati da quest’impostazione di massima i bolscevichi, dopo la presa del potere, sembrarono voler confermare il criterio dell’autodeterminazione, per cui il III Congresso Panrusso dei Soviet del gennaio del 1918 adottò una “Dichiarazione dei Popoli Oppressi e Sfruttati” che precisava come “tutte le nazioni della Russia hanno il diritto di decidere liberamente se partecipare, e su quale base, al governo federativo e alle altre istituzioni federative sovietiche”. Tuttavia fu subito evidente come questo assunto programmatico di fondo dovesse commisurarsi in tempi brevi con una situazione molto articolata che andava maturando nella difforme realtà dell’ex impero tzarista e soprattutto in Ucraina. Infatti la particolare strutturazione sociale e la composizione specifica della popolazione ucraina contribuirono in maniera significativa a conferire al movimento nazionalista connotazioni assolutamente peculiari e politicamente ambigue, dal momento che prendevano corpo tendenze e proiezioni sostanzialmente antisemite, mentre la componente favorevole ai bolscevichi rimaneva tutto sommato esigua anche per la scarsa presenza di uno strato sociale proletario che fosse coinvolgibile in un impegno politico rivoluzionario e internazionalista. E questo anche prima degli avvenimenti dell’ottobre russo, dal momento che già dopo la rivoluzione di febbraio si era venuta a costituire una “Rada” che dichiarava il paese una “repubblica autonoma” con un proprio “Governo Provvisorio” che comunque intendeva governare “senza separazione dalla Russia e senza uscita dallo stato russo”. Nondimeno dopo gli avvenimenti rivoluzionari dell’ottobre russo i rapporti conobbero un rapido deterioramento in quanto, di fronte alla costituzione di raggruppamenti non molto consistenti favorevoli al potere bolscevico, la “Rada” reagì con più accentuate formulazioni “indipendentiste” e soprattutto agevolando le operazioni militari delle forze controrivoluzionarie di Kornilov e Kalidin. Inoltre la “Rada” cercò di procedere alla formazione di un esercito separato previo il richiamo in Ucraina di tutti i propri effettivi che militavano nell’Armata Rossa bolscevica, mentre disarmava le unità sovietiche e della “Guardia Rossa” che operavano nel territorio ucraino e ostacolava i movimento del neonato esercito sovietico; al tempo stesso la “Rada” non disdegnava di agevolare il transito delle truppe cosacche dirette verso il Don dove avrebbero dovuto ricongiungersi ai contingenti controrivoluzionari di Kaledin. Di qui la replica del potere bolscevico costituitosi di recente che il 17 dicembre 1917 ingiunse alla “Rada” di por termine a tutte le iniziative “controrivoluzionarie”, preavvertendo come, in caso contrario, la “Rada” stessa sarebbe stata considerata in “stato di guerra contro il potere sovietico in Russia e in Ucraina”.

Tuttavia la situazione ebbe a presentare aspetti ancora più complessi in quanto il perdurante atteggiamento ostile della “Rada” – che nel frattempo aveva stabilito rapporti abbastanza significativi con le gerarchie militari francesi a seguito della visita del generale Tabonis – indurrà il potere sovietico ad istituire in Ucraina un “Congresso Generale dei deputati dei soldati e dei contadini” che, ritiratosi a Charkov , ebbe a proclamare un nuovo “Congresso generale ucraino dei soviet” che si affrettò a telegrafare a Pietroburgo di “avere assunto i pieni poteri in Ucraina”, anche se per rendere efficace l’intera operazione fu necessario chiamare in causa i contingenti sovietici che circondarono Kiev l’8 febbraio 1918, rovesciarono la “Rada” e insediarono il nuovo governo sovietico ucraino.

Dal suo canto la “Rada” non ebbe a demordere. Anzi trovò il modo di inviare una delegazione a Brest-Litovsk, dove stabilì intese con la delegazione tedesca; e a conferenza conclusa i tedeschi, con l’evidente consenso della “Rada”, invasero l’Ucraina per stabilirvi un governo asservito ai loro poteri, per esercitare nei confini nazionali un ruolo confacente agli interessi dei grandi e medi proprietari terrieri locali. Nondimeno il successivo collasso tedesco fornì nuovo spazio alle forze locali favorevoli ai bolscevichi, sino a giungere alla costituzione di un ”governo provvisorio degli operai e dei contadini” a Kursk, sotto la presidenza di Piatakov, di lì a poco sostituito da Rakovsky. Alterne vicende successive portarono alla sconfitta delle armate controrivoluzionarie di Denikin, alla invasione da parte dell’esercito polacco e al deperire progressivo del ruolo delle forze rappresentative della nascente borghesia autoctona, troppo evidentemente asservite agli interessi dei potentati occidentali . Tutto ciò permise ai bolscevichi di rafforzare la propria posizione in Ucraina. Nondimeno ciò non affrancava Lenin e i suoi dall’obbligo di definirsi rispetto ad alternative cruciali, dopo che lo sviluppo degli avvenimenti poneva in buona sostanza al governo sovietico due possibili soluzioni: o incorporare l’Ucraina nelle strutture statuali russe o dare corso alle non sopite aspirazioni nazionaliste previo la costituzione di un’unità sovietica ucraina separata, ma correlata al potere bolscevico in Russia. Lenin, in sostanziale assonanza alle posizioni assunte sin dall’epoca prerivoluzionaria, propenderà risolutamente per la seconda per cui, in opposizione al radicalismo sommario di Bubnov e Rakovsky, intervenne ad una conferenza espressamente convocata a Mosca dopo la disfatta di Denikin, per ribadire esplicitamente questa sua specifica propensione per la risoluzione della vicenda ucraina; il tutto correlato ad un atteggiamento molto cauto che prevedeva cha la terra venisse distribuita ai contadini, che la costituzione dei “sovkoz” venisse limitata allo “stretto necessario” e che si procedesse alle requisizioni di grano solo “nei casi strettamente necessari”. In breve, una posizione ispirata alla massima cautela che derivava dalla percezione di una situazione assolutamente specifica, dove il consolidamento della posizione bolscevica in Ucraina appariva abbastanza precaria.

In definitiva si andava a delineare una situazione estremamente contraddittoria e carica di incertezze. E questo in primo luogo perché l’esperienza diretta aveva dimostrato come l’affermazione dei principi dell’autodeterminazione successivamente al crollo del regime tzarista aveva avviato la costituzione di tendenze tutt’altro che irrilevanti a riconoscersi entro i margini della regolamentazione borghese e quindi a trasformarsi in organismi statuali perfettamente asserviti ai potentati occidentali, purché gli interessi delle nascenti borghesie autoctone fossero adeguatamente tutelati. Un dato di fatto empirico che si differenziava non poco dalle precedenti valutazioni di Lenin formulate prima della presa del potere. Tuttavia la debolezza politica complessiva di questi potentati autoctoni in fase di costituzione aveva consentito il consolidamento di posizioni peculiari, tutto sommato favorevoli al potere bolscevico al potere in Russia; ma al tempo stesso si era venuta a determinare una situazione non priva di incertezze in quanto la trasformazione “socialista” che si avviava in Ucraina equivaleva alla stregua di una sorta di assimilazione perlomeno indiretta e ad un ridimensionamento delle aspirazioni autonomistiche ucraine, anche perché il regime che si veniva a costituire a Kiev era costituito al vertice quasi interamente da elementi “grandi-russi” ai quali d’ora innanzi il corpo sociale ucraino era tenuto a fornire osservanza. E questa non era una difficoltà che si poteva superare agevolmente.