All’ombra della guerra, l’Europa continua a discriminare migranti e rifugiati

di Igor Zecchini

Mentre la guerra scatenata da Putin continua a mietere vittime e ad occupare le prime pagine di tutti i media, un’altra guerra, agita da molti anni da quasi tutti gli stati occidentali, sta silenziosamente uccidendo e provocando sofferenze a non finire a una grande fetta della popolazione mondiale. La guerra del mondo capitalista contro immigrati e profughi.
Solo per citare l’ultimo episodio di cui si ha conoscenza, più di 90 persone sono morte, nel silenzio più totale, tra l’1 e il 2 aprile scorso nel naufragio di un’imbarcazione al largo della Libia. Altre vittime che si aggiungono alle migliaia e migliaia annegate nel Mediterraneo nel corso di questi anni (oltre 18.000 le morti stimate dal 2014 ad oggi). Un massacro continuo ed incessante di cui i governi italiani che si sono succeduti negli anni – e di qualsiasi colore fossero – sono stati e sono tra i principali responsabili.
Il rapporto dell’UNHCR (l’agenzia dell’ONU per i rifugiati) dice che a giugno del 2021 i rifugiati nel mondo erano 84 milioni circa. Di questi 7 milioni di origine climatica. Quest’ultimo è un dato in forte crescita tanto che, se non ci sarà un’inversione di tendenza nelle politiche ambientali (e non ci sarà), viene previsto che nel 2050 la cifra dei profughi climatici si alzerà a 216 milioni. Gli altri 74 milioni invece sono generati da guerre, discriminazioni etniche, repressione. Più di una cinquantina sono i conflitti attualmente in corso sul pianeta, anch’essi nel silenzio più totale dei media.
Con questi dati non abbiamo nessuna intenzione di sminuire la gravità di quel che sta succedendo in Ucraina. C’è stata una reazione generalizzata in tutti i paesi di sostegno ai milioni di profughi generati dal conflitto. Di fronte a questo dramma, giustamente, è stata lanciata un’operazione straordinaria di accoglienza per chi fugge dall’Ucraina, accelerando in modo (quasi) istantaneo le pratiche per poter ottenere i permessi di soggiorno, elargendo sostegni di carattere economico, aiuti per gli alloggi, assistenza sanitaria, inserimento immediato dei bambini nelle scuole…
Bene, anzi benissimo. Questo dimostra che si può fare, che è possibile aiutare chi scappa da situazioni catastrofiche e disumane del tutto simili alle mostruosità che stanno avvenendo in Ucraina. E dimostra anche che le risorse ci sono.
Ma, se si va a guardare bene nel merito dei provvedimenti, qualche neo si trova, nel nostro paese ma non solo.
È una solidarietà mirata, che sostiene solo un settore specifico dei profughi. Quelli bianchi, strettamente di origine ucraina. Peccato che in Ucraina, al momento dell’aggressione russa, erano presenti circa cinque milioni di stranieri, molti provenienti dall’Asia, che inevitabilmente hanno cercato anche loro di fuggire dalla guerra. Ma a loro non viene permesso di transitare verso altri paesi europei né tantomeno vengono inseriti nei programmi di aiuto. Due pesi e due misure. E aggiungiamo il fatto che, nei confronti degli altri profughi che arrivano nei paesi europei e che provengono dall’Africa o dall’Asia, per quelli la politica generale rimane quella del respingimento. Così, le differenze tra i pesi e le misure diventano abissali.
Ma le cose stanno addirittura peggiorando. E’ di pochi giorni fa la notizia feroce e disumana dell’accordo che Boris Johnson ha stipulato con il Ruanda (lo stato divenuto tristemente famoso nel 1994 per il massacro di un milione di Tutsi e attualmente sottoposto alla dittatura del presidente Paul Kagame). L’accordo Johnson-Kagame prevede, con la contropartita di 145 milioni di euro, la deportazione in Ruanda (quindi a 6.000 km di distanza dal Regno Unito) dei richiedenti asilo nel periodo in cui si svolge l’iter burocratico delle loro domande. Occorre tenere ben presente che, secondo le normative internazionali, queste persone sono definite “in attesa di asilo” e quindi hanno un permesso di soggiorno provvisorio. Sono quindi assolutamente “regolari” dal punto di vista legale. A questo accordo si accompagna una violenta stretta repressiva nei confronti dei “clandestini” che aumenta la capienza dei centri di detenzione per gli immigrati (quelli che in Italia si chiamano CPR) e che permetterà di comminare pene che possono arrivare fino all’ergastolo a chi è accusato di “clandestinità”.
Si dirà che Boris Johnson se lo può permettere visto che non ha più i vincoli della UE. Peccato che la europeissima Danimarca (che, per di più “gode” di governo “rosa-verde”) si sta accingendo a stringere, sempre con il Ruanda, un analogo accordo. Un accordo peraltro peggiore di quello stipulato dalla Gran Bretagna. Infatti, in questo caso, la deportazione avverrebbe per tutti gli immigrati e le immigrate considerati/e irregolari, estendendo quindi la platea a migliaia e migliaia di persone.
D’altra parte la politica di “esternalizzazione” delle frontiere è attiva già da anni nell’Europa intera. In questo quadro si collocano gli accordi del 2017 tra la UE e il “democraticissimo” Erdogan a cui sono stati consegnati, solo nella fase iniziale, 3 miliardi di euro perché si tenesse in casa i profughi provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan e avviasse una operazione di stretto controllo delle rotte mediterranee.
E l’Italia, il paese che vorrebbe apparire come il più solidale e umano del mondo, non è certo restata a guardare. L’ex ministro pd Minniti (lo stesso che oggi è a capo della filiera militare della Leonardo) ha inaugurato la politica degli accordi bilaterali con il memorandum Italia-Libia del 2017, come esempio di “accordi con stati sicuri” (quelli che permettono il rimpatrio dei e delle migranti clandestini/e al riparo dagli sguardi dell’opinione pubblica). Attraverso l’accordo tra Minniti e la Libia si finanzia la guardia costiera di quel paese, la stessa denunciata da innumerevoli strutture di solidarietà ma anche da papa Francesco per azioni di disumanità, tortura, traffico di persone…
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e tutte. Ma anche il recente trattato tra Italia e Tunisia promosso dalla ministra Lamorgese è una porcheria. Anche questo “paese sicuro” (in cui con un atto autoritario il presidente Kais Saied ha appena sciolto il parlamento), in cambio di soldi e aiuti di varia natura, accetta senza alcun limite di riprendere chi cerca di emigrare.
Ignorando così la legislazione internazionale in materia di asilo e violando così, senza alcun ritegno, i diritti di migliaia di persone.