Perù, perché sostenere la ribellione popolare

di Israel Dutra, da Revista Movimento, organo del MES (Movimento Esquerda Socialista), organizzazione brasiliana che fa parte del PSOL

Da un lato, una rivolta popolare, il cui apice è stato lo sciopero generale di giovedì 19 gennaio scorso; dall’altro, un governo golpista sempre più isolato, che si aggrappa alla repressione per sostenere il suo programma e le sue iniziative. Questa battaglia in corso è decisiva per il futuro del Perù e del continente.

Noi di Revista Movimento la copriamo quotidianamente, parlando con i protagonisti del processo, mobilitando la solidarietà internazionale, seguendo “da vicino” l’eroica lotta del popolo peruviano. Sono stato a Lima per alcune settimane, come corrispondente del Movimento, portando la solidarietà del MES e del PSOL ai combattenti che si stanno sollevando.

Qui, in modo sintetico, abbiamo esposto la dinamica degli ultimi eventi e la necessità di una presa di posizione della sinistra brasiliana e del governo Lula rispetto alla crisi istituzionale aperta dai golpisti del governo Dina Boluarte.

La marcia dei 4 Suyos, 20 anni dopo

Come è noto, il 7 dicembre dello scorso anno, Castillo ha subito un colpo di Stato parlamentare dopo un maldestro tentativo di spodestare la maggioranza di destra del Congresso nazionale. In seguito a questa azione di palazzo, il suo vicepresidente, Dina Boluarte, è diventato presidente. Castillo è stato arrestato e imprigionato.

Per consolidare il proprio potere, Boluarte ha scelto figure di destra per il governo e per gli altri organi di azione politica – in particolare Williams e Otarola. Fin dai primi giorni del governo golpista, il Sud del Perù ha vissuto diverse proteste e manifestazioni, alle quali Boluarte ha risposto con una repressione crescente. L’anno si è concluso con un bilancio di morti tra gli attivisti e con la speranza da parte del governo di una tregua durante le festività natalizie che avrebbe stabilizzato la situazione.

Tuttavia, la forza dell’intervento dei contadini e dei lavoratori del sud del Perù (la stragrande maggioranza dei quali è di origine indigena aymará e quechua) ha portato a una vera e propria rivolta popolare nella provincia di Puno nei primi giorni di gennaio 2023. In questo contesto, il governo ha organizzato il massacro di Juliaca, con 18 morti, uno dei capitoli più tragici della storia peruviana.

L’indignazione cresce, prende piede in tutto il sud e si diffonde in tutto il paese. Il 19 gennaio è stata indetta una nuova “Marcia dei 4 Suyos”. Questo nome si riferisce alla manifestazione che ebbe luogo nel luglio 2000 e che fu la causa scatenante della caduta della dittatura di Alberto Fujimori. I “quattro suyos” erano i quattro punti di riferimento politico delle diverse regioni del paese durante il periodo incaico.

Più di 20 anni dopo, il popolo peruviano ha avviato una lotta di massa contro un governo che vuole affermarsi con elementi dittatoriali.

Lo sciopero generale è stato un grande successo. La Marcia dei 4 Suyos è stata chiamata dalla stampa “La presa di Lima” per le centinaia di delegazioni arrivate da ogni dove. Le strade della capitale peruviana erano vuote, quasi come una domenica o un giorno festivo. Oltre ai manifestanti delle campagne, le delegazioni dei quartieri e dei distretti più remoti, provenienti dalle colline, hanno marciato verso il centro di Lima per esprimere il proprio rifiuto del governo e chiedere le dimissioni di Dina Boluarte, nonché la chiusura del parlamento, nuove elezioni e un’Assemblea Costituente.

Lo sciopero del 19 ha definitivamente reso nazionale la ribellione popolare peruviana. Le proteste radicalizzate si sono svolte nelle province del nord, con quasi 100 blocchi stradali, con un ampio sostegno popolare.

Il governo insiste nella repressione

La marcia del 19 si è conclusa con grandi scontri nelle strade del centro di Lima. C’è stato un incendio in un edificio storico, usato dalla stampa e dal governo per disperdere e criminalizzare le manifestazioni.

Nei giorni successivi, Dina Boluarte è andata in televisione a difendersi, affermando che sarebbe rimasta in carica e che avrebbe continuato con la linea dell’ “ordine”. Il 20 gennaio l’Università San Marcos è stata invasa dalle forze di repressione con carri armati e bombe e con l’arresto di 200 attivisti. Ci sono stati quasi 60 morti e 600 arresti, oltre all’arresto dei leader del Fronte in difesa di Arequipa, accusati di terrorismo.

In una costante perdita di consensi, il governo si sostiene solo grazie a una svolta repressiva. Assieme all’azione della polizia, utilizza la persecuzione e la criminalizzazione degli attivisti. Il discorso della destra ha due pilastri: il tradizionale “terruqueo”, che significa imputare agli avversari politici la relazione con gruppi terroristici, evocando il ricordo delle azioni di gruppi armati attivi negli anni ’80 e ’90; e l’attacco a Evo Morales, sostenendo che il leader del MAS boliviano sarebbe dietro le proteste del Sud peruviano, con l’obiettivo della secessione di quelle regioni dal resto del paese. L’assurdità di questa narrazione ha lo scopo di impedire alla ribellione di avanzare.

La situazione attuale è quella di un governo sempre più debole politicamente, sostenuto dalle forze repressive e dai settori più reazionari dell’odiato Congresso. I sondaggi mostrano che il 70% vuole una nuova Costituzione; l’88% rifiuta il governo e il 75% non si fida dell’attuale composizione del Congresso.

Il governo si sta isolando anche tra le classi medie, in grandi città come Lima.

La sinistra deve sostenere la lotta democratica in Perù

Siamo giunti a un momento decisivo della crisi nazionale segnata dalla ribellione peruviana.

Nelle strade e nelle vie del Perù si gioca il futuro della lotta continentale. Oggi l’estrema destra si sta radicando in Bolivia contro il governo del MAS, in Brasile con i bolsonaristi e in Perù per sostenere il governo Boluarte, aprendo la strada al ritorno al potere del clan Fujimori.

Nel bel mezzo della riunione della CELAC (la Comunità degli stati latinoamericani e dei Caraibi), i governi sudamericani dovrebbero impegnarsi a sostenere la ribellione peruviana. Il governo di Gustavo Petro (presidente della Colombia) ha indicato una strada, condannando l’invasione dell’Università San Marcos. La scarsa attenzione sul Perù da parte di settori della sinistra contribuisce solo a sostenere la svolta repressiva della Dina. Il presidente argentino Alberto Fernandez, in un’intervista rilasciata al quotidiano Folha de São Paulo il 23 gennaio, ha citato le sue preoccupazioni per l’“instabilità” del Perù, senza fare nomi né indicare le chiare responsabilità del governo. Lula, da parte sua, e la diplomazia brasiliana non hanno parlato dei massacri e delle violazioni dei diritti fondamentali che si sono verificati nelle ultime settimane. È necessario cambiare rotta e schierarsi in questa battaglia.

Il PSOL, che ha approvato a dicembre, nel suo Direttorio nazionale, una nota di sostegno al popolo peruviano, sta operando per esprimere il massimo di solidarietà verso la ribellione in corso. Abbiamo partecipato ad azioni nelle ambasciate, la deputata Fernanda Melchionna, insieme a tutto il gruppo parlamentare del PSoL, ha interrogato il governo peruviano per la violenza e ha notificato agli organi responsabili in Brasile la transazione e la vendita di armi per le forze repressive del governo del Perù.

L’eroica lotta del popolo peruviano merita tutto il nostro sostegno.