Le cause dell’indecente aumento dei prezzi dell’elettricità

I prezzi dell’energia salgono alle stelle e la scarsità di materie prime si sta aggravando in Europa (Italia, Gran Bretagna, Francia…) e nel resto del mondo (Stati Uniti, Cina, India…). Un anno fa, i prezzi dell’elettricità sui mercati all’ingrosso hanno superato i 100 euro/Megawattora (MWh). All’inizio del 2021 erano di circa 47 €/MWh. Nell’agosto 2O22 hanno raggiunto il massimo storico di circa 750 €/MWh. Oggi sono circa a 300 €/MWh. Ed è del tutto probabile che i prezzi in Europa continuino a rimanere alti, almeno fino alla fine dell’inverno.

Le ripercussioni di questi aumenti sono molteplici: una scandalosa impennata dei profitti per gli azionisti dei grandi gruppi energetici, grandi problemi per i “piccoli” fornitori di energia che trasferiscono gli aumenti ai loro clienti, ecc. Ma hanno anche un grave impatto sui bilanci degli enti locali e soprattutto causano grandi difficoltà alle famiglie, in particolare a quelle più vulnerabili, nonostante i peraltro timidi “scudi” tariffari e le altre “misure di sostegno” messe in atto da alcuni governi.

Cause cicliche e soprattutto strutturali

L’aumento della domanda dopo la pandemia di coronavirus si combina con diversi fenomeni di interruzione dell’offerta e porta a una forte speculazione sui mercati. Oltre alla guerra in Ucraina, motivo indicato in larga parte strumentalmente per giustificare l’aumento dei prezzi dell’elettricità, ci sono diverse spiegazioni per questi aumenti: la speculazione sui combustibili fossili, la forte crescita dei prezzi del carbonio sul mercato della CO2, la scarsa disponibilità di altre fonti (soprattutto le “rinnovabili”) e il deficit idrico nelle dighe a causa della siccità di questa estate… Ma la situazione economica non spiega tutto l’aumento incontrollato dei prezzi dell’elettricità.

Il principale responsabile è il TCE (Trattato sulla Carta dell’Energia), ratificato nel 1994.

Il TCE è un accordo di investimento internazionale che ha istituito un “quadro multilaterale per la cooperazione transfrontaliera nel settore energetico”. Copre tutti gli aspetti delle attività energetiche commerciali, compresi il commercio, il transito, gli investimenti e l’efficienza energetica, è legalmente vincolante e include procedure di risoluzione delle controversie.

L’obiettivo originario era quello di facilitare l’integrazione dell’industria energetica dell’URSS e del resto dell’Europa orientale dopo la fine della Guerra fredda nel “libero mercato” europeo e mondiale. Era dunque il frutto dell’esportazione delle privatizzazioni nei sistemi precedentemente “statalisti” dell’Est, uno sterminato mercato che improvvisamente si apriva alla speculazione dei giganti dell’energia. Con la sua furia privatizzatrice e “liberalizzatrice” ha imposto strumenti giuridicamente vincolanti, cerca di promuovere i principi di mercati energetici globali aperti e di non discriminazione per stimolare gli investimenti diretti esteri e il commercio transfrontaliero globale.

Sulla base del TCE sono stati emessi numerosi “lodi arbitrali internazionali” spesso del valore di centinaia di milioni di dollari. Nel 2014, il caso della compagnia petrolifera russa Yukos, dopo 10 anni di controversie legali, è stato risolto sulla base del trattato con una penale di 100 miliardi di dollari (poi ridotti a 50)a favore dei ricorrenti. Si calcola che i casi già decisi o in procinto di esserlo varranno 85 miliardi di dollari per i governi.

Dunque, la causa principale del problema dei prezzi dell’energia è strutturale: l’apertura dei mercati europei dell’elettricità alla concorrenza. Una direttiva della UE del 1996 (Direttiva 96/92/CE) ha formalizzato questa apertura alla concorrenza e ha posto fine al monopolio delle Industrie energetiche di stato. Si è decretato che altri fornitori avrebbero potuto vendere elettricità a privati e aziende, senza essere produttori ma come semplici intermediari tra produttori e consumatori.

La nascita del “mercato libero” elettrico in Italia avviene nel 1999, quando il decreto Bersani inizia la liberalizzazione del settore dell’energia elettrica (D.lgs. n.79 del 16 marzo 1999). In precedenza, in Italia l’ENEL (assieme ad altre aziende pubbliche o parapubbliche) vendeva l’elettricità direttamente ai consumatori a un prezzo che rifletteva i costi di produzione. Ora i produttori (in Italia e in tutta Europa) vendono la loro elettricità ai fornitori che a loro volta la rivendono ai consumatori.

Il “mercato dell’energia”, una pompa di denaro

I produttori sono le società che generano energia elettrica e la vendono sul mercato, i distributori si occupano dell’infrastruttura di rete e di tutte le operazioni come l’allaccio della luce e i fornitori acquistano l’energia elettrica dai produttori e la vendono agli utenti finali, affidandosi ai distributori locali per il trasporto fino al punto di prelievo.

I “consumatori finali”, ovvero i cittadini (e le imprese), “possono scegliere” il proprio fornitore che per formare la tariffa (il prezzo finale dell’energia) pratica alcuni costi uguali per tutti stabiliti da ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente, mentre la quota relativa all’energia viene liberamente definita da ciascuno degli operatori, con offerte e tariffe “personalizzate” e servizi aggiuntivi che ci vengono propinate dai fastidiosi call centre.

Com’è noto, ogni utente può cambiare fornitore liberamente e tra qualche mese cesserà il cosiddetto “servizio di maggior tutela”. il mercato elettrico è gestito dal GME (Gestore dei Mercati Energetici) e dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici), che si occupano dell’organizzazione del sistema elettrico.

Il risultato di questo meccanismo è sotto gli occhi di tutti: tariffe sempre più fuori da ogni controllo e un’impennata dei prezzi al consumo.

Com’è ovvio in regime capitalistico, al centro non ci sono le esigenze degli utenti, che poi sono le cittadine e i cittadini, ma la garanzia della redditività. Così, il mercato europeo dell’elettricità funziona secondo un sistema di “ordine di merito” finalizzato a garantire i profitti. Il prezzo per MWh è calcolato in base all’ultimo MWh prodotto. I costi di produzione sono diversi per le diverse fonti energetiche: basso per le rinnovabili, medio per l’energia importata di origine nucleare, alto per i combustibili fossili (soprattutto gas). Se la domanda di elettricità è bassa, le energie rinnovabili ed eventualmente la produzione nucleare sono sufficienti: il prezzo è quindi basso. Ma quando la domanda è più alta, le centrali termiche vengono riavviate. Il prezzo di mercato dell’elettricità è quindi allineato al costo di produzione delle centrali termiche. E tutti gli attori della catena di produzione/distribuzione ne traggono vantaggio, poiché anche il MWh prodotto a basso costo viene venduto al prezzo più alto. Ovviamente gli utenti e i contribuenti in un modo o nell’altro pagano il conto.

Nel complesso, il Trattato sulla Carta dell’Energia, l’apertura alla concorrenza, gli incentivi ai fornitori privati e l’allineamento al prezzo del gas sono tutte cause strutturali del forte aumento dei prezzi dell’energia, in particolare dell’elettricità. Rilanciando i combustibili fossili, dando un’etichetta “verde” al carbone, al gas e al nucleare, i leader europei ci attaccano da due lati: servendo gli interessi capitalistici e sabotando qualsiasi politica climatica.