Le notizie del Qatargate (ma anche del Marocgate) ci hanno indotto a pubblicare questo articolo sul caso marocchino
di Marco Sbandi
I governi del Marocco da diversi decenni sono impegnati nella missione di convincere gruppi imprenditoriali stranieri ad investire nel paese e a restarvi più a lungo possibile. Questa strategia, teoricamente tesa allo sviluppo del paese, non è esclusiva del Marocco, ma comune a molti paesi che non dispongono di materie prime.
In Marocco sono presenti gruppi industriali europei (francesi, spagnoli, tedeschi, italiani), americani (USA), asiatici (Turchia, India, Cina, Corea, Giappone) con attività in settori diversi: automobilistico, logistico, elettronico, sanitario, agro-industriale, ecc. Mentre aumentano gli “investimenti” stranieri in Marocco, continua la politica UE di accordi con il governo del Marocco. Gli accordi riguardano prevalentemente i seguenti settori: repressione dei flussi migratori, acquisto di prodotti ittici, acquisto di fosfati.
Anche se non ufficialmente, gli investimenti e i trattati tra governi europei e governi del Marocco sono complementari, e funzionali soprattutto agli interessi capitalistici dei gruppi privati. Le trattative si intrecciano: quanto è disposta a pagare l’UE per reprimere l’emigrazione? Quanto è disposto il Marocco a cedere perché gruppi industriali europei aprano fabbriche e filiali in Marocco? A che prezzo il Marocco cerca di vendere il pesce e i fosfati (esportazioni principali verso UE)? Quanto sono disposti a pagare governi e industrie europee per essere concorrenziali con gli investimenti cinesi? Quanto costa alla Francia, agli Usa e alla Cina farsi concorrenza in Marocco?
La concorrenza è tale che si manifesta anche nei media europei: a seconda dei paesi vengono messi in evidenza differenti settori di investimento in Marocco, cambia la classifica degli investitori, e scompare il concorrente cinese (che secondo altre fonti sarebbe il primo da ben 12 anni). Ogni giornale, quindicinale, periodico aggiusta le statistiche in base alle preferenze del padrone privato e del governo del momento. Per aggiustare a piacimento le statistiche si distinguono gli investimenti diretti da quelli indiretti, l’interessamento a distanza da quello in presenza, prestiti da finanziamenti, ecc.
E c’è un settore del quale si parla poco o non si parla affatto, soprattuto sui media europei: quello della cosiddetta “sicurezza”. Gli acquisti di materiale bellico e spionistico da parte dei governi marocchini sono aumentati di parecchio negli ultimi decenni, e sono comparabili solo a quelli algerini nel continente africano. Da cosa nasce questa ossessione securitaria ? E’ dettata da interessi interni o esterni? I fattori sono essenzialmente tre: l’opposizione algerina al riconoscimento della sovranità marocchina sul territorio saharawi, la pressione degli investitori stranieri sul controllo interno, e la pressione UE per reprimere i migranti a tutti i costi. Gli investitori stranieri, oltre a godere di vantaggi fiscali e di terreni a costo minimo, pretendono che i salari siano bassi, le misure di sicurezza minime, la copertura sanitaria debole, e che magari i sindacati scompaiano dalle aree in cui aprono le loro fabbriche e le loro sedi.
Da una parte l’assistenza sanitaria per le malattie contratte sul lavoro sta aumentando, dall’altra i governi marocchini stanno decisamente sostenendo l’intervento di gruppi privati (prevalentemente stranieri) nella sanità, non solo nel settore della produzione di medicinali (la francese Sanofi ha una sorta di monopolio per molti medicinali) ma anche nel campo delle strutture (cliniche private e laboratori di analisi privati), con un aumento anche del ruolo delle assicurazioni private. La salute delle lavoratrici e dei lavoratori, quindi, prima è subalterna alla produzione, e poi è di nuovo merce di scambio tra governi e padronato.
Per quanto riguarda il costo della manodopera, anche in Marocco è stato deciso che in alcune aree il salario sia più basso “per favorire gli investimenti stranieri” e lo “sviluppo dell’area”. Le aree individuate sono le più povere e quindi quelle dove un salario normale sarebbe già insufficiente a mantenere una famiglia. Queste aree sono intorno alla catena montuosa dell’Atlante e intorno alla area dove sorge il porto di Tanger Med. Questa è una area che ha alle spalle il Rif, una catena montuosa più bassa e più brulla dove agli inizi del 1900 si è sviluppata la prima resistenza armata anti-coloniale (contro le truppe spagnole e francesi alleatesi), una resistenza che ha accusato la monarchia marocchina di averla tradita per farsi promettere la cessione della area stessa. Il porto di Tanger Med, specializzato in traffico di container, ovvero in traffico mercantile, è in posizione geo-strategica rispetto allo stretto di Gibilterra con l’ingresso al Mediterraneo da ovest, la rotta che va dall’America del Sud verso l’Europa, e la rotta di circumnavigazione dell’Africa. Dal porto di Tanger Med le industrie presenti nell’area possono esportare direttamente la merce prodotta verso altri continenti.
È vero che con gli investimenti in Marocco le industrie straniere cedono “know how” o capacità tecniche e tecnologiche (come vorrebbe la propaganda marocchina)? No, se si considera che l’occupazione riguarda soprattutto persone non laureate, non i laureati che vivono in città. E’ evidente da questi dati ufficiali marocchini che alle aziende riguardo alle operaie e agli operai del settore auto, ma anche del settore manifatturiero, della logistica, interessa soprattutto il basso salario e le ridotte capacità di autodifesa legale.
Quando le operaie e gli operai marocchini si sono ribellati alle condizioni di lavoro disumane ed ai salari insufficienti, le imprese straniere hanno chiuso e lasciato il paese. Quindi le imprese straniere sono interessate alla repressione di ogni forma di sindacalizzazione e autodifesa operaia.
Le imprese straniere, essendo spesso multinazionali, hanno ovviamente lo stesso interesse nelle fabbriche presenti in Europa: e dunque premono sui governi per la repressione dei lavoratori sia in Marocco che in Europa. E per scaricare la rabbia operaia del nord su capri espiatori e distrarla dal padronato, gli industriali francesi, spagnoli, belgi, olandesi, italiani, tedeschi (per restare in Europa) premono sui governi per acuire la propaganda xenofoba e allo stesso tempo creare un filtro terroristico sulla immigrazione. A dispetto della propaganda elettorale nei diversi paesi, non esiste una accoglienza dei migranti, se non nel senso della repressione e messa in gabbia immediata di coloro che riescono ad arrivare vivi in Europa. CIE, Cara, Hotspot, ecc servono a controllare gli immigrati, a intimidirli, a reprimerli, a raggrupparli per destinarli dove fa più comodo.
Quale è la procedura per arrivare ad un permesso di soggiorno e quanto tempo resta valido il permesso? La procedura per ottenere il permesso di soggiorno è come un labirinto per la persona immigrata: deve avere la residenza, un contratto di lavoro, soldi per vivere in Italia (più soldi di quanti lo stato ne ritiene necessari per una pensione sociale). Se il contratto di lavoro scade, se per lavorare c’è bisogno di spostarsi, se i documenti del paese d’origine non sono in italiano (ovvio) e non sono con il migrante (perché li ha persi, o perché ci sarebbero voluti mesi per averli), la persona immigrata cade in una posizione forzatamente clandestina dalla quale non può uscire indenne…
La concessione dei visti e dei permessi di soggiorno è parte integrante delle trattative tra governi del Marocco e governi europei. A seconda del gradimento della politica marocchina da parte di investitori privati e governi, consolati e ambasciate allungano i tempi dei visti, aumentano le spese per concederli, riducono il numero di visti e permessi autorizzati. Il permesso di soggiorno vale solo un anno. In questa trattativa da mercato degli schiavi è compresa quella sui minori non accompagnati che arrivano in Europa. Molti di questi minori spariscono dalle procedure burocratiche e spariscono per tutti (anche per le famiglie). Sono le famiglie che mandano minori non accompagnati? Sono veramente non accompagnati? E che fine fanno?
Dato l’ostruzionismo burocratico (illegale ma esistente) nei confronti di qualsiasi documento non europeo (oltre che non in lingua europea) anche l’unità delle famiglie può essere messa in pericolo da separazioni assurde contro l’interesse dei minori. Di tanto in tanto i governi europei tornano all’assalto dei governi marocchini per rispedire indietro dei minori “non accompagnati” e liberarsene. Si tratta ovviamente di una forma di ricatto nei confronti dei governi del Marocco che va a pesare rispetto ad altre trattative (sui finanziamenti alla repressione della emigrazione, ma anche sugli investimenti in altri settori).
Se alcuni investitori stranieri non possono contare su una presenza armata ufficiale in Marocco, quelli francesi e statunitensi possono invece godere anche di questa arma vera e propria. La Francia continua ad avere un ruolo e una presenza militare in tutta l’Africa occidentale, ma sta perdendo terreno rispetto alle pretese USA. La posizione francese è oggi per esempio indebolita dalla divergenza tra Algeria e Marocco sulla sovranità saharawi. La divergenza non è affatto nuova, ma negli ultimi anni il Marocco ha incrementato decisamente l’occupazione militare ed industriale nell’area e la Francia si trova a rispondere contemporaneamente alle pressioni marocchine e algerine. In questa guerra di influenze, i saharawi e i marocchini sono solo pedine.
Gli USA hanno da tempo una base in Marocco, ai piedi del Medio Atlante, e basi militari USA pare siano presenti anche in Algeria. Gli USA da anni stanno puntando sul terrorismo “islamico” in tutta l’Africa per destabilizzare paesi ed aree e fare poi pressione affinché i governi concedano basi e acquisti di armi (USA). La Francia sta perdendo terreno in questi scontri contro bande di mercenari che si spostano con estrema e sospetta facilità.
Ma Francia e USA (ovvero interessi capitalistici delle lobbies dei due paesi) stanno perdendo terreno, economicamente, nei confronti degli investitori cinesi. Nonostante la propaganda anti-cinese sia presente anche sui media marocchini (soprattutto francofoni) con pregiudizi da cliché, gli investimenti cinesi in Africa, Marocco incluso, sono in decisa e costante ascesa da 12 anni. La voracità del capitalismo occidentale (francese e USA) ha messo da tempo in crisi il consenso nei suoi confronti in Africa. E’ evidente che le aziende straniere tendano ad annullare qualsiasi presenza di gruppi locali nei settori più remunerativi. Gli investitori francesi e americani tendono a mantenere ed ottenere il monopolio in diversi settori: agro-industriale, energetico, sanitario, ecc.
Acque e terre del Marocco, come la trasformazione dei prodotti della terra in prodotti alimentari, sono nel mirino degli investitori stranieri e le masse di abitanti delle campagne e delle città rischiano di vedersi sottrarre la proprietà e l’uso dei terreni e delle acque. La dipendenza dagli investimenti stranieri è tale che allo stesso tempo il Marocco ha permesso una centrale a carbone (coreana) presso Safi (sulla costa), ha concesso lo sfruttamento di ipotetici bacini di gas offshore e inshore (imprese britanniche, olandesi e americane), cerca di incrementare le centrali fotovoltaiche (imprese tedesche principalmente), e comincia a pensare alla costruzione di centrali nucleari (per la Areva francese). Una politica che rischia di rendere il territorio marocchino una discarica a cielo aperto e di rifiuti pericolosi.
Gli investimenti cinesi, senza pretese di influenza politica e militare, stanno da anni portando anche il governo marocchino a sottoscrivere accordi con la Cina. Un tentativo di diversificazione delle dipendenze e di liberazione forse da una spirale insostenibile di incremento delle spese militari. La Cina è arrivata da poco in Marocco, anche a causa della nota dipendenza marocchina da Francia e USA, rispetto ad altri paesi africani (Tanzania e Kenya soprattutto) dove apparve già agli inizi del 1400. La Cina può vantare rispetto ai colonizzatori euro-americani, una storia di relazioni internazionali prevalentemente diplomatiche e basate sul commercio.
La costante minaccia militare USA, una condotta mafiosa che promette “protezione” e minaccia eliminazione, sta spingendo però anche la Cina a dotarsi di difese militari in patria e di scorta alle navi mercantili. In questo senso si può leggere l’unica richiesta (al momento) di base militare fatta dalla Cina in Africa e accettata dal governo di Gibuti. Sembra che il Marocco abbia anche permesso a navi russe di attraccare nei porti marocchini in caso di necessità di manutenzione e riparazione, ma al tempo stesso pare (ci sono smentite delle forze armate) che abbia inviato armi al governo della Ucraina contro la Russia (che importa quantità importanti di prodotti agricoli dal Marocco).
In questo mondo di trattative truccate e di protezioni mafiose, si inserisce anche il calcio. La stampa europea si è improvvisamente scandalizzata per le pressioni del Qatar affinché fosse accolta la sua candidatura ad organizzare i mondiali, e si è improvvisamente scandalizzata delle pressioni marocchine per il riconoscimento della sovranità sul Sahara. Come mai la stampa europea si scandalizza delle pressioni del Qatar e del Marocco, ma non delle pressioni mafiose USA (per restare in ambito esterno), e del massacro quotidiano di migranti e lavoratori tra il Mediterraneo e l’Europa?
In questi scandali elementari e ipocriti si vede anche il livello di libertà di opinione in Europa. Il Qatar non è investitore gradito agli Usa perché non ha accettato di rompere le relazioni con l’Iran e non ha accettato di partecipare alla distruzione dello Yemen. Il Marocco, oggi baluardo sportivo e morale dei migranti marocchini e di tutta l’Africa, resta per la stampa europea il luogo dove i padroni vanno a fare affari e da dove partono quei migranti da reprimere ad ogni costo in patria e in Europa. Ma immigrati fieri delle proprie origini e delle proprie comunità possono costituire una base di protesta anche contro le politiche europee, e contribuire alle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici d’Europa contro il sistema capitalistico.
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