Oscar René Vargas (al centro) durante il volo che l'ha portato negli Stati Uniti assieme agli altri esiliati

Nicaragua, quando un appello per la liberazione di Oscar René Vargas ha successo… per ironia della storia

di Charles-André Udry, da Alencontre.org

La campagna per la liberazione di Oscar René Vargas – e di tutti i prigionieri politici e di coscienza in Nicaragua – ha trovato una soluzione parziale in seguito alla decisione della dittatura Ortega-Murillo di esiliare 222 prigionieri politici e di far approvare dall’assemblea legislativa una legge retroattiva che li priva della cittadinanza nicaraguense, come sottolinea Sergio Ramirez.

Più di 30 prigionieri rimangono incarcerati in condizioni inique, dopo essere stati sottoposti a sedicenti processi che sono, per usare una frase di Dora Maria Tellez (nella sua intervista a El Paìs), “nient’altro che un plotone di esecuzione legale”. Tra questi, il vescovo di Matagalpa, monsignor Rolando Álvarez, rimane nelle grinfie della dittatura. Rolando Álvarez si è rifiutato di salire sull’aereo. Prima di un eventuale esilio forzato, ha chiesto di “incontrarsi con i vescovi”, cosa che avrebbe potuto provocare uno sconvolgimento politico-religioso, vista l’insistenza del cardinale Leopoldo Brenes che, ancora nel novembre 2022, ha mantenuto un “dialogo con la dittatura di Ortega-Murillo”, nel momento in cui Rolando Álvarez e altri sacerdoti venivano perseguitati. Per non parlare della chiusura di diverse istituzioni cattoliche.

Giovedì 9 febbraio, all’1.30, alcuni prigionieri sono riusciti a rientrare nei loro abiti civili. Si stava preparando un trasferimento. Sebbene alcuni temessero di essere trasferiti in altre carceri, la possibilità di un “esilio forzato” è diventata più chiara per molti una volta riuniti sugli autobus che li portavano all’aeroporto.

Oscar René Vargas è stato tenuto per diversi giorni in isolamento, in una cella di 2 metri per 2, senza cibo né medicine, nonostante avesse subito un’operazione al cuore e la sua vista stesse cedendo a causa di una cataratta. Di fronte ai suoi interrogatori, la sua risposta è stata severa: “Non ho nulla da dire perché tutto è già nei molti libri che ho scritto e nelle migliaia di articoli”. Ha posto alle sue guardie una semplice domanda: “Se questo regime continua, morirò sicuramente. È una decisione dei suoi superiori? Chiedete loro. Perché in caso di ‘incidente mortale’ un giorno sarete responsabili”. Questa volta le guardie hanno chiesto conto ai loro superiori. Così, il giorno dopo, Oscar René Vargas è stato trasferito in una cella più grande di 3 metri per 6, dove ha potuto fare esercizi, un’igiene fisica, psicologica e intellettuale per un prigioniero politico.

Al suo arrivo all’Hotel Westin di Herndon, in Virginia, in un breve video che lo ha messo in contatto con una conduttrice del canale 100Noticias – una conduttrice che lo aveva già intervistato in passato – Oscar René Vargas l’ha informata con umorismo che “le interviste provenienti dal Costa Rica erano in realtà prodotte in Nicaragua”. In questo modo ha continuato, a modo suo, il suo lavoro di informazione sulla situazione in Nicaragua.

La campagna per la sua liberazione, che in pochi giorni ha ricevuto un notevole sostegno internazionale, ha raggiunto la sua prima conclusione positiva. Questa è anche l’occasione per ringraziare tutti coloro la cui firma è stata più di un gesto formale, ma l’espressione di un impegno politico che ha assunto, in varie forme, la traiettoria storica delle rivoluzioni e controrivoluzioni, dei movimenti di emancipazione e del loro spossessamento. Questa assunzione di responsabilità è guidata da una comprensione empirica dell’evoluzione delle formazioni sociali, articolata con i principi che sono alla base del sostegno dato alle mobilitazioni emancipatorie. In questo senso, Oscar René Vargas, noto storico del Nicaragua, che la dittatura vuole trasformare in un apolide, ribadisce oggi che la soppressione della cittadinanza – in altre parole, degli effettivi diritti economici, sociali, politici e civici – viene imposta alla vastissima popolazione del Nicaragua, e non solo ai 222 prigionieri liberati. Questa è la battaglia che continuerà a combattere, come già sappiamo.

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